Il mondo dell’arte Maurizio Rapiti lo respira fin da piccolo: “Mio padre è un copista. Il suo lavoro consiste nel riprodurre quadri antichi come se fossero tali a tutti gli effetti. Utilizza tele antiche e legno di un certo tipo come telaio, lavorando con tecniche rinascimentali che prevedono l’uso di materiali come colla di coniglio e gesso. Quindi anche io ho cominciato a dipingere facendo copie, per poi allontanarmene per fare qualcosa di più mio: tecniche miste, pastelli, acrilici, spray. Ho sentito il bisogno di emanciparmi un po’, rimanendo comunque sempre nel figurativo, spostandomi però sul surreale o sul metafisico”.
Dopo aver ampliato il suo bagaglio tecnico, Rapiti intuisce che è arrivato il momento di unire le sue radici classiche al suo desiderio di sperimentazione. “Alla fine sono tornato alle riproduzioni, però rivisitandole. Ho voluto dare una rilettura a determinati dipinti storici, spesso ironica e certe volte contemporanea, aggiungendo elementi anacronistici che contestualizzano l’opera ai giorni nostri: una Venere del Botticelli con jeans e maglietta, Napoleone sul cavallo a dondolo o La morte di Marat che diventa La sbornia di Marat.
“È difficile portare il processo creativo a una dimensione razionale; spesso è un qualcosa di molto intuitivo e istintivo”, afferma Rapiti quando gli si chiede come sia nata l’idea di reinterpretare i più famosi dipinti della storia. “L’intuizione è arrivata quasi casualmente. Una volta un committente mi ha lasciato piena libertà nella realizzazione di alcune opere e allora mi è venuto in mente di riprendere il concetto dei falsi d’autore e renderlo più mio. Visto che l’idea ha riscosso successo, ho portato avanti il discorso sviluppandolo sempre di più, finché i classici rivisitati sono diventati la mia serie principale”.
Una scelta che potrebbe essere vista come non al passo coi tempi, ma che si è invece rivelata più che mai moderna: “L’arte figurativa rimane sempre e non passa mai di moda, anche se ci sono tante nuove forme espressive che vanno per la maggiore, come la performance o l’istallazione, e che ricercano un tipo di linguaggio che si distacca dai canoni classici. Il figurativo esiste sempre, basti pensare alle opere di Roberto Ferri. Tornare a questo tipo di pittura non è altro che riprendere un discorso che non è mai stato abbandonato. Io poi, utilizzando opere iconiche, riesco ad esprimermi in un linguaggio che è facilmente comprensibile da tutti. Anche un ragazzino che sfoglia il suo libro d’arte delle medie conosce molti di questi quadri, quindi quando ne vede la reinterpretazione è in grado di intuire il messaggio”.
“Quando riproduci un dipinto hai sempre un riferimento. Devi attenerti a quello che ha fatto l’autore originale. Quando invece realizzi qualcosa di completamente tuo, dove ogni elemento all’interno dell’opera è pensato da te, c’è ovviamente maggiore libertà. Chi osserva può giudicare attraverso prospettive e proporzioni, ma ha sicuramente meno elementi di quelli che ha osservando una copia. Quindi forse direi che le riproduzioni sono più difficili, almeno nel modo in cui le faccio io, proprio per via del maggior numero di punti di riferimento in possesso a chi guarda”.
Alla domanda su quali siano i lavori che gli hanno dato maggior soddisfazione, Rapiti risponde: “Sicuramente il Napoleone sul cavallo a dondolo è forse il quadro più rappresentativo. Però sono molto orgoglioso anche della serie di ritratti di pittori famosi modificati, spesso giocando con riferimenti velati e citazioni. Un esempio è il ritratto di Alessandro Manzoni, ma con in mano la Merda d’Artista di Piero Manzoni. A volte può capitare che queste opere non arrivino facilmente a chi le osserva, ma sono quelle che mi diverte più fare.
Oltre alla tela, ultimamente le opere di Rapiti hanno trovato spazio anche sui muri di molte città. “Da circa un anno a questa parte ho anche delle mie stampe attaccate sugli sportelli metallici a Firenze e Arezzo, ma anche a Sansepolcro e qualche altra piccola città. La street art è un ottimo strumento per far conoscere il mio lavoro. In questo modo riesco a raggiungere un pubblico molto più vasto, avvicinandomi a un tipo di persone che altrimenti sarebbe difficile da raggiungere attraverso gallerie o spazi espositivi. Soprattutto sui social, ti ritrovi con un gran numero di utenti che fotografano le tue opere o ti contattano direttamente. Per il percorso che ho deciso di intraprendere io, ovvero quello di arrivare direttamente al pubblico, e per il linguaggio pop che adotto, la strada è estremamente funzionale”.
“Ho fatto una mostra a CasermArcheologica lo scorso settembre e qualche esposizione collettiva. Di queste ultime ne ho alcune in programma nell’immediato futuro, a San Giustino e in provincia di Verona”, racconta Rapiti parlando dei suoi prossimi impegni. “Per organizzare una mostra ci vuole molto tempo e il lavoro su commissione ti porta via molte energie. Per realizzare un quadro posso andare dai cinque giorni a settimane intere o addirittura mesi, per opere che comunque alla fine vengono vendute e non esposte. Una personale non riesco quindi a farla se non con un intervallo di circa un anno”.