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Nuove Acque e la proroga (silenziosa) della concessione fino al 2029

In cambio di tariffe bloccate ed investimenti la durata della gestione mista pubblico-privata è stata estesa a 30 anni

Era il primo giugno 1999 quando divenne concretamente operativa Nuove Acque S.p.A., una società con capitale azionario diviso tra soci pubblici (53,84%) e privati (46,16%) che avrebbe gestito il servizio idrico integrato per 25 anni in 30 comuni della provincia di Arezzo e in 5 della provincia di Siena, riuniti congiuntamente nella Conferenza  n. 4 – Alto Valdarno.

Nonostante diverse amministrazioni abbiano nel corso degli anni manifestato la volontà politica di cambiare quanto prima l’attuale modello di gestione in favore di un’alternativa totalmente pubblica, nel territorio aretino Nuove Acque ha ottenuto ben due proroghe: la prima, approvata il 22 gennaio 2018, ha esteso la concessione dal 2024 al 2027, mentre la seconda, disposta il 19 luglio 2022 e ratificata il successivo 20 dicembre, ha ulteriormente posticipato la scadenza al 31 maggio 2029. Ufficialmente entrambe le soluzioni sono state sviluppate e assunte per contenere le tariffe e pianificare gli investimenti fino alla prossimità della data di scadenza. Nel 2018, ad esempio, la proroga fu proposta assieme ad un contenimento degli aumenti tariffari (l’1% annuo contro al 5% annunciato precedentemente) e allo stanziamento di 90 milioni di investimenti. Similmente, nel 2022 l’allungamento della concessione è stato predisposto per garantire il blocco delle tariffe dal 2023 al 2029 e per accedere ad ulteriori 55 milioni di investimenti: grazie al contenimento dei costi operativi e alle attività di progettazione che hanno permesso di accedere ai finanziamenti pubblici del Pnrr, è stato dunque possibile rimodulare il Piano Economico e Finanziario fino all’anno 2029.

A prescindere dai presunti vantaggi che possono essere associabili alle due proroghe, non si può non constatare che le modalità attraverso le quali si è giunti all’approvazione delle due soluzioni sono state molto diverse. Quando, infatti, cinque anni fa fu presentata per la prima volta la proposta di estendere la concessione dal 2024 al 2027, si sviluppò un acceso dibattito che non coinvolse soltanto amministratori e politici, ma anche categorie economiche, comitati e mondo dell’associazionismo: alla fine, nonostante le accese poteste di chi chiedeva due mesi di tempo in più per ponderare e condividere la decisione con i consigli comunali, la votazione si risolse in favore della proroga, con 19 comuni favorevoli, 4 astenuti e 6 contrari. Tra questi ultimi vi erano anche Arezzo, Sansepolcro ed Anghiari, i quali si opposero energicamente alla soluzione proposta. Anche a livello mediatico, come si può facilmente constatare ricercando la notizia nel web, la discussione fu ampliamene trattata e dibattuta.

Al contrario di quanto accaduto nel 2018, per la seconda proroga non ci sono, evidentemente, stati né dibattiti, né obiezioni, visto che la proposta è stata formulata lo scorso luglio direttamente dai comuni della  Conferenza  n. 4 – Alto Valdarno, senza che si sollevasse alcuna voce critica. Tale dato è stato poi confermato a dicembre dall’Assemblea dell’Autorità Idrica Toscana (AIT) che ha approvato all’unanimità la delibera che ha ufficialmente spostato la fine della concessione al 2029. Ciò che oggettivamente colpisce è che anche da un punto di vista mediatico e politico quest’ultima disposizione è stata assunta in maniera incredibilmente silenziosa, quindi senza che si potesse riaprire l’acceso dibattito di qualche anno prima. Sicuramente, oltre all’inferiore durata della proroga, rispetto al 2018 molte cose sono cambiate, ed oggi solo il fatto che si parli sempre più insistentemente di una possibile futura multiutility toscana ha fatto probabilmente digerire, persino ai più critici, questa soluzione come un modo per guadagnare tempo in attesa che si definisca meglio il modello attraverso il quale nei prossimi anni sarà gestita l’acqua in tutta la regione. Tuttavia, anche alla luce di tale considerazione, rimane un dato ineludibile, cioè quello che in provincia di Arezzo per provare a dare seguito all’esito referendario del 2011 si dovranno ancora attendere sei anni.

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