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“Grappoli”: vino, cibo, storie – L’Agricologica

La sfida etica di Aboca sulla zootecnia. Intervista a Jacopo Orlando, Business Development Manager del brand

Jacopo Orlando, al centro, al punto vendita L'Agricologica

L’Agricologica è un marchio di Aboca registrato negli anni ’90, ma il progetto attuale è nato nel 2016, per proporre al pubblico prodotti alimentari a base di carni biologiche da animali allevati allo stato brado. Lo stabilimento produttivo di Cerbara è aperto dal 2019, mentre la fase commerciale è partita nel 2021. Abbiamo incontrato Jacopo Orlando, Business Development Manager del brand, che ci ha illustrato i dettagli del progetto.

Quali animali allevate e quali sono i numeri dell’Agricologica?

Alleviamo suini neri, bovini di razza chianina e Angus. La zona di allevamento dei suini si trova in Aboca, dove abbiamo 42 ettari di terreno recintato, tra bosco e pascolo, ma siamo in una fase di ampliamento di ulteriori 15 ettari che verrà completata entro il 2024. I capi che andiamo a macellare annualmente sono 350 (2022), ma stiamo aumentando la produzione, con l’obiettivo di arrivare a 400/500 capi. Per quanto riguarda i bovini abbiamo 48 ettari in Valdichiana e, anche in questo caso, siamo in ampliamento, diventeranno 52 entro il 2023, e un’altra quindicina entro il 2024. Macelliamo 130 capi l’anno e andremo a crescere fino a 190/200. Alleviamo più Angus che chianine, perché si adattano bene al pascolo: è una razza particolarmente docile, che va d’accordo anche con le chianine che sono bizzose. Questi non sono i numeri di un allevamento convenzionale, dove in stalla ci sono tanti animali che permangono per un tempo più breve; il nostro è un allevamento estensivo dove l’animale è inserito e vive nel rispetto della sua fisiologia.

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Quali sono i parametri da rispettare per affrontare la sfida della sostenibilità e dell’etica?

La tipologia di allevamento e la filiera di produzione sono ispirate dalla volontà di rispettare gli animali e il territorio, il che ha un impatto positivo sulla biodiversità dell’ecosistema e sulla salute e il benessere del consumatore finale. Siamo molto attenti al benessere degli animali, anzi: siamo oltre quello che generalmente viene concepito come benessere animale, perché i nostri animali sono liberi. Non abbiamo una stalla ma dei ricoveri dove gli animali vanno in autonomia quando lo ritengono opportuno; in estate, ad esempio, quando li usano per ripararsi dal sole. Maggior benessere animale significa minor stress e bassi livelli di Cortisolo, l’ormone dello stress. Grazie alla collaborazione con l’Università di Perugia, stiamo facendo valutazioni su questo ormone e abbiamo riscontrato che nei nostri capi il livello è molto più basso, non solo rispetto agli allevamenti convenzionali intensivi ma anche rispetto a quelli bio.

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Questo significa che gli animali stanno bene e che la loro carne sarà morbida, anche se si muovono molto, perché le fibre muscolari non andranno a irrigidirsi a causa dello stress. Per il benessere animale è cruciale anche l’alimentazione: i bovini, ad esempio, sono ruminanti, dovrebbero mangiare erba, ma negli allevamenti convenzionali la loro alimentazione viene stravolta, gli vengono dati mangimi a base di cereali e leguminose. Vivendo al pascolo possono nutrirsi di erba e con fieni autoprodotti. Abbiamo un’indipendenza mangimistica che ci consente una maggiore circolarità e un maggior rispetto per gli animali e il territorio. Questa indipendenza inoltre ha dei vantaggi economici, anche se spendiamo di più in recinzioni. Il benessere di un animale che ha libertà di movimento, si alimenta correttamente e non viene sottoposto a terapie antibiotiche preventive (gli antibiotici vengono usati in caso di necessità, e ovviamente tutti i capi sono vaccinati), ha delle ripercussioni sulla salute del consumatore: l’obiettivo è mangiare meno carne, ma carne di qualità che non faccia male, che rispetti l’ecosistema. Questo vale non solo per l’allevamento ma anche per tutta la filiera produttiva, perché non usiamo conservanti chimici.

Quindi siamo oltre il biologico…

Il bio è un punto di partenza, ma noi andiamo oltre: per il benessere animale abbiamo aderito allo standard High Welfare di FederBio che prevede un approccio più stringente rispetto al biologico canonico. La distinzione fondamentale riguarda il fatto che i nostri animali sono costantemente all’aperto: il biologico prevede che gli animali siano in stalla con l’accesso all’esterno e invece da noi sono costantemente liberi. Altra cosa importante è che l’Agricologica è un brand del marchio Aboca, società benefit che ha inserito nel proprio statuto l’impegno a operare in modo sostenibile, trasparente, inserendo finalità specifiche di beneficio nel proprio statuto, tra le quali una che riguarda l’ambiente e la biodiversità. I dati della certificazione Biodiversity Alliance dimostrano che l’approccio di Aboca ha un impatto positivo sulla biodiversità: siamo l’unica azienda ad aver raggiunto 100 punti su 100 secondo i criteri stabiliti da questo standard internazionale.

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Nel claim di presentazione fate riferimento al “piacere del gusto nativo”: cosa intendete per gusto nativo?

Il claim nasce su idea del Cavalier Mercati e rimanda al concetto delle razze native: noi abbiamo scelto di allevare delle razze che non sono tipicamente impiegate nell’allevamento, perché non sono state selezionate geneticamente per l’ingrasso. Abbiamo scelto delle razze antiche (chianina, Angus, suino nero), quindi il nativo rimanda a razza non selezionata per l’ingrasso e al gusto nativo, non artefatto ma autentico, originario.

Cibo, vino, territorio e se aggiungessi a queste tre parole la parola arte? Quali connessioni? 

Abbiamo la connessione con il Museo di Aboca, dove troviamo tutta la storia dell’azienda, il percorso costruito negli anni per conciliare salute e natura, il racconto di un approccio diverso che si fa cultura.

Potremmo dire che anche questo nuovo approccio alla zootecnia è “arte”, per la sua capacità realizzativa e di cambiamento partendo dal rispetto della natura e dell’umano.

https://agricologica.it

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