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Fertilizzanti e inquinamento: qual è la situazione dell’Alta Valle del Tevere?

Numeri, tendenze e possibili effetti sulla salute umana

Classificazione dello stato chimico dei corpi idrici sotterranei per l'anno 2021 (verde: buono; arancione: scarso). Mappa e dati Arpa Umbria.

Ogni anno i dati pubblicati nei rapporti dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) rimarcano un dato alquanto preoccupante, ovvero quello che le acque superficiali e profonde del Paese sono sempre più contaminate da elementi che potrebbero essere nocivi per l’uomo. Prima di approfondire in un prossimo articolo la parte relativa ai pesticidi, si provvederà ora a restringere l’analisi sui fertilizzanti, andando a vedere dove e quanto alcuni composti derivati da questi si concentrano nelle acque del sottosuolo dell’Alta Valle del Tevere. Sia nella piana della Valtiberina toscana che in quella dell’Altotevere umbro si riscontra tradizionalmente una forte vocazione agricola incentrata su colture che normalmente richiedono importanti apporti di fertilizzanti: tra questi ultimi quelli che vengono utilizzati maggiormente sono sicuramente i nitrati, composti che contenendo azoto e ossigeno sostengono la crescita delle piante favorendone la formazione di cellule all’interno dei tessuti vegetali.

In ambito agrario i nitrati (NO3) sono dunque di grande utilità, anche se un utilizzo eccessivo potrebbe indirettamente provocare problemi alla salute umana: quando, soprattutto attraverso l’acqua delle falde, tali composti vengono ingeriti, una parte di questi potrebbe infatti diventare potenzialmente cancerogena attraverso la trasformazione dapprima in nitriti (NO2) e poi in nitrosammine. Ovviamente il passaggio non è automatico e da un punto di vista scientifico è ancora piuttosto complicato dimostrare l’esistenza di una correlazione diretta: nonostante ciò ci sono studi, come quelli sviluppati da John Barnes e Peter Magee negli anni ‘50, che dimostrano che certi derivati dei nitrati possono avere effetti cancerogeni nell’apparato digerente.

Coltivazione di tabacco

Nonostante la difficoltà ad accertare nessi di causa-effetto, qualche anno fa, nel 2016, il Registro Tumori Umbro di Popolazione (RTUP) di Perugia rilevò che l’incidenza di tumori allo stomaco in Alta Valle del Tevere, in particolare nell’area del comune di Città di Castello, era decisamente superiore alla media nazionale: seppur in maniera indiretta, in quell’occasione tale dato fu messo in relazione proprio con le alte percentuali di nitrati rinvenuti in alcune stazioni di monitoraggio delle acque. Rispetto a sette anni fa, come si presenta la situazione oggi? Consultando i dati raccolti dall’Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) e dell’Arpa Umbria (il soggetto equivalente che opera nella regione limitrofa), emerge in effetti un quadro piuttosto complesso e preoccupante. Per ciò che riguarda la Valtiberina toscana i dati raccolti lo scorso anno dimostrano che soltanto nella stazione di Pozzo Giallino, sulla piana della sponda sinistra del Tevere (in prossimità del confine regionale con l’Umbria), si registra un valore piuttosto alto (53,5 mg/litro) che tra l’altro viene indicato come in forte aumento nel periodo 2003-2022. Questo numero, rilevato analizzando acqua ad una profondità maggiore di 30 metri, si colloca al di sopra della soglia di potabilità che la legge (Decreto legislativo 31/2001) fissa al di sotto di 50 mg/litro. Per le altre stazioni la situazione rimane abbastanza sotto controllo, nonostante per alcuni punti di osservazione non siano visibili i relativi dati raccolti.

Per l’Altotevere umbro la maggiore disponibilità di informazioni rende ancor più allarmante una situazione che, almeno in alcune zone, appare sensibilmente più problematica: come si può osservare dalla mappa interattiva all’interno del sito di Arpa Umbria, nel 2021 sono stati registrati valori superiori ai 50 mg/litro in ben due stazioni di monitoraggio: nella Zona Industriale Altomare di San Giustino (59,4 mg/litro) e a Città di Castello, in località Santo Stefano (56,1). Di fronte a tali numeri bisogna però fare almeno un paio di puntualizzazioni. Innanzitutto, il quantitativo di nitrati nel sottosuolo non solo dipende anche dal tipo di terreno, dalle piogge e da altri aspetti geologici, ma è particolarmente mutevole: nel corso dell’anno, ad esempio, i livelli più alti si registrano spesso dopo l’estate, quindi dopo la raccolta dei prodotti agricoli. Oltre a ciò, in alcuni casi si può osservare che i valori registrati da una stazione possono davvero cambiare notevolmente da un anno all’altro: ad esempio, per la zona Badiali/Cerbara nell’ultimo decennio si può riscontrare un’alternanza di numeri che prima di arrivare ai 20 mg/litro del 2022 è passata dagli 87 del 2018 e dai 67 del 2019.

In secondo luogo bisogna anche segnalare che i dati rilevati negli ultimi anni stanno mettendo in evidenza una generale diminuzione dei livelli di contaminazione delle acque: in particolare le due stazioni che si collocano sopra i 50 mg/litro in passato avevano fatto registrare valori decisamente superiori a quelli attuali, arrivando persino a toccare punte di 93,6 (Santo Stefano) e 95,5 (Altomare) nel 2018, seconde soltanto al picco massimo di 102 mg/litro che fu toccato nel 2006 nella stazione di monitoraggio sangiustinese.

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