Il libro di Eric Gobetti I carnefici del Duce racconta i crimini di guerra di cui si sono macchiati militari e civili italiani durante l’epoca fascista. Un tema che nella memoria collettiva del Paese è rimasto in “un oblio che dura da 80 anni”, ha detto lo storico piemontese ai microfoni di TTV.it a margine della presentazione del volume presso il cinema teatro Astra di San Giustino: “Sicuramente ci sono delle motivazioni per cui nell’immediato dopoguerra si è scelto di accantonare questo tipo di memoria e concentrarsi su una memoria più vittimista e anche giustificazionista nei confronti dei crimini commessi dall’Italia”, ha affermato Gobetti, secondo cui questo “è meno comprensibile oggi, dopo 80 anni, quando tutti i Paesi mostrano rispetto verso le vittime dei crimini commessi nel passato dai propri eserciti e invece l’Italia continua ad essere incapace di affrontare questa memoria. Il libro – ha spiegato – vuole in qualche modo contribuire a un riconoscimento pubblico ma anche istituzionale di questi crimini”.
L’incontro, promosso dall’Anpi, è stato introdotto dalla presidente del comitato provinciale di Perugia Mari Franceschini e ha visto Gobetti dialogare con Amedeo Zupi, mentre Cristina Salvatori, Elvio Lepri e Marco Milli hanno letto alcuni brani delle testimonianze riportate dallo studioso nel proprio volume. Si è trattato del primo di due appuntamenti con protagonista Eric Gobetti in Alta Valle del Tevere, seguìto da quello presso CasermArcheologica a Sansepolcro, organizzato con la partecipazione del Museo e Biblioteca della Resistenza in occasione dell’80° anniversario della liberazione del campo di Renicci. Parlando dei campi di internamento fascisti, lo storico ha sottolineato come quello anghiarese ne fosse “un esempio macroscopico”, essendo “uno dei più grandi sul territorio italiano durante la Seconda guerra mondiale”.
“Ma non dobbiamo dimenticare – ha aggiunto Gobetti – che campi di concentramento italiani, che non sono campi di sterminio ma vi muoiono decine di migliaia di persone, esistono da molto prima della Seconda guerra mondiale”. Citando l’esempio dei campi realizzati negli anni trenta in Libia (“dove muoiono circa 40.000 persone con una percentuale di morte del 40%, paragonabile a quella di molti campi di concentramento nazisti”), lo storico ha sottolineato che “questa è davvero una di quelle memorie totalmente sepolte nella nostra memoria pubblica”. Infatti “i campi di concentramento nell’immaginario collettivo vengono attribuiti quasi sempre alla Germania nazista, mentre ci dimentichiamo che noi abbiamo creato campi di concentramento terrificanti prima ancora che Hitler prendesse il potere”, ha detto.