Secondo la Direzione generale per le dighe del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasposti, nel territorio italiano sono presenti 529 dighe: di queste 48 sono state sottoposte ad una limitazione dell’invaso, 33 sono temporaneamente fuori esercizio e 66 sono in attesa di collaudo. Complessivamente circa il 28% degli sbarramenti artificiali non è dunque al momento in condizione di operare a pieno regime secondo quanto previsto dai progetti. Soprattutto per ciò che riguarda i collaudi è sufficiente effettuare una ricerca specifica nel web per capire che, in molti casi, lo stato di attesa per arrivare a verificare l’opera può durare anche molti anni. Questo determina normalmente una serie di difficoltà che sono, in primo luogo, legate al fatto che senza l’espletamento dei test prescritti gli invasi realizzati non possono essere utilizzati e valorizzati adeguatamente. Oltre a ciò, il trascorrere del tempo rende progressivamente sempre più complicato concludere gli iter stabiliti, dato che poi con gli anni le strutture realizzate sono inevitabilmente soggette a deterioramento. In tali casi diventa dunque necessario effettuare ulteriori interventi che possono comportare anche importanti esborsi di risorse.
Considerando il fatto che in Valtiberina la diga di Montedoglio è stata progetta nel 1971 e ad oggi non è ancora stato completato il collaudo, può essere lecito chiedersi se anche questa struttura sia destinata o meno a rimanere in tale particolare limbo. Nel caso specifico a dilatare i tempi ha certamente contribuito l’incidente del 29 dicembre 2010: il crollo del muro di sfioro, verificatosi proprio in fase di collaudo, ha infatti richiesto interventi straordinari che, nell’ambito di una complessa vicenda giudiziaria, hanno impiegato dodici anni di tempo prima di essere realizzati.
Rispetto a dubbi e perplessità di questo tipo, è quindi opportuno ricordare che al momento, dopo che lo scorso anno è stato ripristinato il muro crollato, la procedura di collaudo a Montedoglio è stata ripresa. Come spiegato dall’EAUT, cioè dall’ente gestore della diga, in questa fase si sta procedendo ad effettuare un ciclo di invasi e svasi che è finalizzato all’accertamento delle condizioni di sicurezza. Dopo aver aver raggiunto, nel maggio scorso, la quota di 388 metri sul livello del mare e poi, a settembre, quella di 382, il gestore ha richiesto all’autorità competente e alla commissione di collaudo l’autorizzazione ad effettuare la seconda ed ultima fase di invaso sperimentale che prevede il raggiungimento di 393,60 metri. Il via libera a procedere con tale ulteriore step sarà subordinato ad una specifica valutazione tecnico-scientifica su tutti i dati rilevati e misurati fino ad oggi e ad eventuali ulteriori richieste di monitoraggio, controllo e valutazione.