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Sacrario degli Slavi, Sansepolcro ha ricordato il 50esimo anniversario

Fabbroni: “Non possiamo scendere a compromessi su guerra e Resistenza”; la storica slovena Nevenka Troha: “Dalla vittoria un futuro migliore che piano piano si sta perdendo”

La cerimonia del 15 dicembre

Venerdì 15 dicembre, nel giorno esatto del cinquantesimo anniversario, Sansepolcro ha ricordato l’inaugurazione del Sacrario degli Slavi, eretto nel 1973 al centro del cimitero cittadino. La ricorrenza è stata aperta da una cerimonia di commemorazione presso il complesso monumentale.

Ai microfoni di TTV.it la storica Nevenka Troha, tra i numerosi cittadini sloveni presenti all’iniziativa, ha sottolineato l’importanza di conservare la memoria dei drammi della guerra e di non dimenticare che “con la vittoria sul nazismo e sul fascismo si sono poste le basi per un futuro migliore che piano piano si sta distruggendo”.

Analoghe le considerazioni di Patrizia Fabbroni, presidente dell’Anpi di Sansepolcro, che ha organizzato la giornata con il Museo della Resistenza e la collaborazione del comune: “Troppo spesso oggi memoria, identità e storia vengono in parte riscritte”, ha detto, “ma non possiamo scendere a compromessi sul significato profondo dell’antifascismo, della Resistenza e della guerra”.

A seguire, una mostra visitabile fino al 21 dicembre è stata inaugurata a Palazzo Pretorio con un convegno che ha visto tra l’altro l’intervento dello storico Alvaro Tacchini sui partigiani slavi nella Resistenza locale e i partigiani altotiberini nei Balcani: “Come la guerra è stata realmente una guerra mondiale, la Resistenza è stata una Resistenza internazionale contro il nazifascismo”, ha sottolineato.

La mattina successiva una cerimonia si è svolta anche a Caprese Michelangelo, quando è stata ripristinata la lapide a tre caduti del distaccamento Lubiana della Brigata Partigiana Pio Borri (gli jugoslavi Dušan Bordon e Karel Cimperman e il russo Pëtr Esipovič).

Quello di Sansepolcro è uno dei quattro Sacrari presenti in Italia (gli altri sono a Gonars in Friuli, Barletta in Puglia e Roma). Progettato dallo scultore jugoslavo Jovan Krahtovil, comprende un monumento in bronzo e una cripta dove sono collocate 446 urne zincate. Ciascuna di queste reca una stella rossa insieme a un nome con luogo e data di morte.

A riposare nel Sacrario sono civili morti durante la detenzione nei campi di prigionia italiani o caduti nella lotta di Liberazione dopo essersi uniti ai partigiani. Tra loro c’è anche la gran parte delle 160 persone morte di stenti nel campo di internamento fascista di Renicci ad Anghiari.

La presenza di civili jugoslavi nel nostro Paese e in Valtiberina durante la Seconda guerra mondiale è frutto delle deportazioni di decine di migliaia di persone sospettate di attività sovversive nei territori della Jugoslavia occupati dal Regio esercito. Qui era stato avviato un processo di italianizzazione forzata che ricalcava il modello di quello attuato nelle province slave già annesse dal Regno d’Italia dopo la Prima guerra mondiale.

Degli jugoslavi internati in Italia, intorno a diecimila trascorsero mesi in condizioni proibitive nel campo di Renicci, e circa 160 di questi morirono nell’autunno inverno 1942-1943. Nell’estate successiva furono trasferiti nel campo anghiarese anche antifascisti italiani che si trovavano al confino, mentre dopo l’8 settembre Renicci fu abbandonata dalle guardie e i prigionieri poterono fuggire, per la maggior parte unendosi alle formazioni partigiane.

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