Giunge a Città di Castello un inviato del Comitato di Liberazione provinciale, Ferdinando Rosi Cappellani. Rintraccia l’ufficiale Stelio Pierangeli, di cui sono note le idee antifasciste, e gli propone di assumere il comando militare delle bande partigiane che si stanno formando tra Città di Castello e Pietralunga. Poi si incontra con “un signore di mezza età, simpatico nell’aspetto e cordiale nel tratto”. È Venanzio Gabriotti. Scrive Rosi Cappellani nelle sue memorie: “Mi colpisce l’entusiasmo con il quale Gabriotti parla del movimento clandestino, delle bande, dei rifornimenti di viveri e di mitragliatrici da portare in montagna”.
La costituzione ufficiale della Brigata “San Faustino” avverrà di lì a poco. Alcuni giovani tifernati renitenti alla leva e al servizio di lavoro, ancora solo una dozzina, sono già alla macchia nel territorio di Pietralunga. Ricorda Livio Dalla Ragione: “Ci nascondiamo in una casina disabitata a Montebello. Decidiamo che uno deve rappresentare tutti. Scriviamo i nomi su foglietti e li buttiamo in un cappello. Vengo eletto comandante io”. Per quei giovani, cresciuti negli anni della dittatura fascista, è la prima esperienza di elezione democratica.
È in quei giorni che altri renitenti di Città di Castello e della valle del Nestoro costituiscono una banda partigiana a Morra. Un’altra va prendendo forma a Badia Petroia. Ce n’è una pure a Monte Santa Maria Tiberina. Si aggregheranno tutte alla Brigata “Pio Borri” di Arezzo.
Intanto, il 1° marzo sono iniziati scioperi dei lavoratori nelle fabbriche del nord Italia. Chiedono innanzitutto un miglioramento delle condizioni di vita. Ma è evidente la protesta contro la guerra e il regime fascista che l’ha provocata.
Nelle foto: Assunta Gabriotti con il ritratto del fratello Venanzio; Stelio Pierangeli (“Geo Gaves”); Livio Dalla Ragione; Settimio “Mimo” Gambuli.