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Oggi, 80 anni fa: gli “schiavi di Hitler”

Decine di giovani altotiberini vennero deportati per lavorare in Germania in condizioni disumane. La nuova puntata del “Diario del 1944”

Il maestro Raffaello Fabbrini con gli alunni

Tra San Giustino e Sansepolcro vengono rastrellati e rapiti alle loro famiglie decine di giovani. Sono destinati alla deportazione nel Reich per l’impiego forzato nelle industrie belliche germaniche. “Schiavi di Hitler”, così verranno chiamati. I giovani di Sansepolcro riusciranno a fuggire nelle prime fasi del trasferimento. Per quelli di San Giustino, una trentina, non c’è invece scampo. Prima tappa, il campo di smistamento di Fossoli, in Emilia; poi trasporto in vagoni-merci al lager di Mauthausen e ai campi di lavoro da esso dipendenti. Quattro di loro – il maestro Raffaello Fabbrini, l’unico adulto, Alessandro Rossi, Duilio Rubechi e Piero Simoncioni – non ce la faranno a reggere gli stenti e le violenze subiti a Mauthausen.

In precedenza, altri altotiberini sono stati brutalmente strappati ai loro affetti. Il 7 e l’8 maggio i nazi-fascisti prelevano una cinquantina di giovani dai 17 anni in su a Umbertide, Montone e Città di Castello. È un’azione fulminea e brutale, che si avvale della complicità di fascisti locali. Altri sono rastrellati nel Pietralunghese.

Gran parte di essi finiscono nei lager di Khala, presso Jena. Li attendono i cantieri, anche sotterranei, per la produzione delle nuove armi aeree con le quali Hitler spera di capovolgere le sorti del conflitto. Non tutti riescono a sopravvivere alle condizioni di lavoro disumane, alle malattie, alle violenze, al freddo e alla fame. Non tornano in Italia un umbertidese e quattro tifernati: Cesare Falleri, Primo Tacchini, di 18 anni, e i diciassettenni Ivreo Giuseppini e Armando Polpettini. Un altro tifernate, Bruno Consigli, avrebbe scritto una impressionante memoria di quella deportazione.

Per approfondire: Storia tifernate. Deportazione di civili.

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