Dopo la pubblicazione di un precedente articolo sulla straordinaria diffusione di alcune forme tumorali in Altotevere umbro, TTV.it sta cercando di raccogliere dati e pareri che, nel coinvolgere esperti del settore, possano fare chiarezza sulla situazione rilevata, quindi sia sulla sua effettiva gravità, sia sulle possibili cause di questo problema. In attesa di ricevere dall’Ispro dati analoghi che possano fornire una fotografia anche della Valtiberina toscana, in questa prima fase il lavoro è stato indirizzato sul richiedere suggerimenti ed eventuali chiavi interpretative ad alcune specifiche figure professionali. Oltre ad interfacciarsi con il dott. Fabrizio Stracci, responsabile scientifico del Registro Tumori dell’Umbria, la redazione si è recentemente messa in contatto con Annibale Biggeri, già professore ordinario di Statistica medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Padova.
Nell’apprendere della situazione dell’Altotevere, quest’ultimo si è soffermato sopratutto sull’incidenza del tumore allo stomaco: rispetto a tale patologia lo stesso ha suggerito un’interpretazione che più che fare leva su alcune eccessive concentrazioni di nitrati nelle acque del sottosuolo, si è indirizzata principalmente su una situazione storica di lungo corso in cui le abitudini alimentari passate potrebbero aver contribuito ad innalzare la sua incidenza. Il docente universitario ha infatti invitato a orientare l’attenzione verso la relazione che intercorre tra la dieta e questo tipo di malattia, mettendo in primo piano il fatto che, per quanto possiamo risalire indietro nei due secoli scorsi con le statistiche di mortalità, l’Altotevere si trovava in una condizione socio-economica tale da incidere su una dieta che, oltre a proporre reiteramene certi alimenti, poteva beneficiare di pochi antiossidanti. Con l’arrivo del benessere il ventaglio di alimenti a disposizione degli altotiberini si è ampliato e contestualmente sono progredite anche le condizioni di conservazione dei cibi, andando così a migliorare gli apporti nutritivi, quindi a ridurre l’incidenza del tumore allo stomaco.
I valori ancora molto alti (seppure in sensibile flessione come mostrato dai dati appena resi disponibili dal Registro umbro) di questa forma di neoplasia, sarebbero spiegabili dal fatto che il manifestarsi della malattia necessita molto spesso di alcuni decenni, pertanto i casi registrati in Altotevere potrebbero essere riconducibili a persone, oggi tendenzialmente molto anziane, che hanno vissuto in un’epoca caratterizzata dalle abitudini alimentari sopra descritte. Ovviamente, oltre a ciò, il prof. Biggeri ha elencato anche altre possibili concause, come la presenza dell’Helicobacter pylori (alle cui infezioni può essere associato il carcinoma gastrico), gli abusi di alcol, la presenza di nitrati nelle acque e ad altri fattori che però sarebbe necessario analizzare maniera più approfondita e in un’ottica “storica”, visto che il manifestarsi della malattia richiede mediamente un periodo di latenza di oltre 20 anni.
Rispetto all’indicazione fornita da Biggeri, la domanda più immediata che può sorgere è la seguente: è possibile che, a livello territoriale, la relazione tra dieta e tumore allo stomaco possa essere così straordinariamente evidente soltanto per l’Altotevere? Rispetto a tale quesito, il professore ha precisato che i numeri del comprensorio umbro sono da sempre tra i più alti d’Italia, aggiungendo subito che però non sono di certo i soli, dato che una situazione analoga è stata storicamente riscontrata anche per il Casentino, per la parte collinare e montuosa della provincia di Forlì e per alcune altre zone dell’Appennino marchigiano. A questo punto sarebbe dunque da capire quali potrebbero essere stati nel corso dei decenni gli elementi che, rispetto ad altre aree depresse e con diete decisamente povere, abbiano contribuito a marcare una distinzione tra i territori sopracitati ed eventuali altri potenzialmente simili.
Proprio prendendo in esame un interrogativo analogo, richiamandosi a una parte di letteratura scientifica che si lega principalmente ai nomi di John Barnes e Peter Magee, in un precedente articolo era stata avanzata, con tutte le cautele del caso, l’ipotesi che ad interferire negativamente sulla diffusioni di alcuni tumori potessero essere, seppur in maniera indiretta, alcune alte concentrazioni di nitrati nelle acque del sottosuolo. Facendo una considerazione generale, su questo specifico aspetto il prof. Biggeri ha tendenzialmente ribadito che quando si parla di tumori allo stomaco la correlazione maggiormente evidente è quella che si lega più che altro alle abitudini alimentari, relegando perciò questa possibilità come un’eventuale concausa.
Insieme a tutto il resto, sulla questione dei nitrati sarebbe comunque necessario sviluppare un’analisi che possa indirettamente contemplare, attraverso i possibili influssi epigenetici, anche altre forme tumorali (come alcune di quelle segnalate in precedenza) e dettagliare questa variabile con l’effettiva condizione di un territorio, l’Alta Valle del Tevere, in cui ad esempio molti utenti, attraverso pozzi domestici, consumano quotidianamente l’acqua della falda anche per usi idropotabili. Se, dunque, per quest’ultimo aspetto appare doveroso affinare i criteri di analisi, per tutto il resto che è stato riportato in precedenza si renderebbe necessario intraprendere un’articolata opera di investigazione che sia in grado di produrre risposte che ad oggi non sono ancora elaborabili.