“Il Creato come dono da custodire”: intervista a Telmo Pievani

Il filosofo e saggista, presto ospite del Festival dei Cammini di Francesco, illustra la sua visione: “L'essere umano non è il padrone del pianeta, ma un ospite recente che ha il dovere di preservarlo per le generazioni future”

Il complesso intreccio tra uomo e natura si pone al centro del dibattito che accompagnerà l’apertura dell’ottava edizione del Festival dei Cammini di Francesco, manifestazione itinerante organizzata dalla Fondazione Progetto Valtiberina con l’obiettivo di rinnovare il pensiero francescano nell’ambito delle sfide contemporanee.

Quest’anno, per la prima volta, il festival inaugurerà a Firenze il 18 maggio presso la Basilica di Santa Croce, partenza ufficiale della Via di Francesco in Toscana, in attesa di intraprendere il consueto percorso tra i comuni dell’Alta Valle del Tevere umbra e toscana (qui il programma completo). L’edizione 2024 sarà incentrata sul tema “Dono, Comunità, Futuro”, celebrando così gli ottocento anni dal dono delle stigmate a San Francesco d’Assisi e dal dono che il Santo fece del suo saio a Montauto, nel comune di Anghiari.

Il professor Telmo Pievani, rinomato filosofo della scienza e saggista, sarà uno degli illustri relatori dell’evento inaugurale nel capoluogo fiorentino, dal titolo “Il Dono del Creato”. In attesa dell’incontro – al quale si potrà partecipare liberamente previa prenotazione al seguente link – abbiamo dialogato con lui per gettare luce sul significato del concetto di “dono” nel contesto della natura e sulla responsabilità umana nel suo rapporto con essa.

Il dono del Creato – Pievani ci introduce alla sua concezione del dono del Creato come una “contingenza evolutiva”. La presenza della specie umana nella vastità dell’evoluzione è per lui un privilegio inaspettato, che ci impegna a una profonda umiltà. L’essere umano non è il padrone del pianeta, ma un ospite recente con il dovere di custodirlo per le generazioni future.

“La specie umana è emersa nell’evoluzione solo recentemente, non più di 200 millenni fa, al termine di una sequenza di svolte imprevedibili che avrebbero potuto condurre in tutt’altra direzione. Questo per me è il dono del Creato: la contingenza evolutiva, il fatto di non essere stati previsti e di avere avuto il privilegio inaspettato di essere qui, adesso, come specie e come individui coscienti. Molti pensano che la contingenza tolga senso alla presenza umana: avremmo potuto non esserci. Per me è il contrario. Proprio perché siamo improbabili, è un privilegio essere qui, un dono, una grande occasione da non sprecare. Da questo dono io traggo un insegnamento di umiltà: non siamo i padroni del pianeta, siamo gli ultimi arrivati, nostro dovere è lasciare la casa terrestre in ordine per chi verrà dopo.”

La forza ambivalente dell’uomo – L’umanità, attraverso la sua storia, si è dimostrata fortemente invasiva nei confronti della natura. Dalla preistoria al presente, l’essere umano ha plasmato l’ambiente a suo vantaggio, ma questo comportamento non è né giustificato né inevitabile. Pievani spiega come cultura, educazione ed etica possano in realtà modificare il nostro rapporto con la natura.

“Quando i primi antenati degli aborigeni entrarono in Australia 60 millenni fa, estinsero tutti i mammiferi di grossa taglia e gli uccelli inetti al volo. Lo stesso accadde nelle Americhe. Dove passa Homo sapiens (Homo sedicente sapiens), il mondo cambia, si impoverisce, da sempre. Noi siamo quelli che plasmano il paesaggio e le nicchie ecologiche per adattarle alle nostre esigenze. Poi venne la transizione neolitica, un’altra grande forzatura della natura, perché gli ecosistemi furono trasformati in modo tale da produrre un surplus di risorse del tutto anomalo. Poche specie furono avvantaggiate rispetto a tutte le altre, la biodiversità si dimezzò. Noi siamo così: creativi e invasivi, è l’ambivalenza umana. Ma il fatto che lo facciamo da sempre non è un’attenuante, come se fosse scritto “nella nostra natura” e dunque inevitabile (un altro falso argomento che continuiamo a usare nel dibattito pubblico: la natura non è un oracolo interno, è cambiamento, è diversità). Quindi possiamo cambiare il corso degli eventi, se lo vogliamo, grazie alla cultura, all’educazione e all’etica.”

La contemplazione e la realtà – Nel corso della storia, la contemplazione della bellezza della natura non è stata sufficiente per farci invertire la rotta. Pievani spiega infatti che le azioni distruttive dell’uomo sono legate a molteplici fattori di carattere economico, culturale e sociale.

“La natura attorno a noi ha un valore economico (importante, ma non decisivo), un valore relazionale (che prima o poi dovremo aggiungere ai parametri economici) e un valore estetico, il più rilevante. Edward O. Wilson la chiamava “biofilia”. Purtroppo non è sufficiente, in primo luogo perché la contemplazione della bellezza della natura è una fortuna che al momento solo una minoranza ricca dell’umanità può permettersi. Il resto dell’umanità ha il problema di sopravvivere dignitosamente. In Africa ci sono tantissimi bambini che vivono nelle periferie delle metropoli e non hanno mai visto una giraffa. Davanti alle loro case però passano i torpedoni dei turisti ammassati che fanno il safari nei parchi e dormono nei lodge delle riserve pagando migliaia di euro. In secondo luogo, non basta perché anche se ogni tanto facciamo una passeggiata nei boschi (dopo aver fatto qualche ora di coda in macchina) poi le nostre vite sono impostate come se ci fossimo emancipati dalla natura. La bellezza vera della natura non è per turisti occasionali incolonnati in autostrada, è un’esperienza interiore, da vivere con calma. Più del 70% degli europei vive in città.”

“La natura è più grande di noi” – La natura, per Pievani, è indifferente alle sorti umane. Sopravvivrà all’umanità e tornerà a fiorire una volta che l’essere umano sarà scomparso. Questo pensiero, secondo il filosofo, dovrebbe indurre una riflessione sulla nostra reale importanza nel grande schema delle cose.

“Non siamo indispensabili. Durante la pandemia, già dopo poche settimane di chiusura, la fauna selvatica si stava riprendendo i suoi spazi. Quando non ci saremo più, la biodiversità tornerà a fiorire e questo per me è motivo di sollievo e di speranza. E poi la natura è più grande di noi perché ci mette in scacco attraverso un organismo di pochi micron, è assai più antica di noi, ci schiaccia quando vuole. E il tutto senza che essa abbia alcuna intenzione di farlo, dato che è del tutto indifferente alle nostre sorti, anche se a noi piace etichettarla come se fosse una persona, che elargisce premi e punizioni.”

La distruttività dell’ignoranza – L’ignoranza dell’umanità sulla biodiversità è causa della sua distruzione. L’estinzione di molte specie è avvenuta senza nemmeno conoscerle appieno. Anche per questa ragione, il professor Pievani evidenzia dunque la necessità urgente di cambiare rotta e comprendere il costo ambientale delle nostre azioni.

“Noi conosciamo forse un quarto di tutta la biodiversità che ancora resiste sulla Terra. Siamo ignoranti e distruggiamo ciò che ancora non conosciamo. Negli ultimi cinque secoli abbiamo estinto da un terzo a un quarto di tutte le specie. I dati sulle acque dolci e sugli oceani, in particolare, sono allarmanti. Abbiamo costruito artefatti la cui massa complessiva nel 2020 ha superato quella di tutti gli esseri viventi messi assieme. Quindi è vero che siamo ingombranti e che la nostra impronta ecologica è pesante (già a luglio esauriamo tutte le risorse che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno, viviamo a debito e non ce ne accorgiamo, qualcuno pagherà dopo), ma il nostro reale potere sulla natura è un’illusione. Così come è un’illusione la crescita economica quantitativa e infinita, perché silenziosamente accumula un costo ambientale che stiamo trasferendo alle generazioni future.”

Questione ambientale: una “cosa da ricchi?” – Al luogo comune che vede le tematiche ambientali come una questione riservata alle classi più facoltose, Pievani ricorda come queste vicende interessino principalmente gli ultimi. La giustizia climatica e ambientale è legata indissolubilmente alla giustizia sociale ed economica: sono strettamente connesse e si rinforzano a vicenda.

“Vivremo tempi turbolenti. Oggi le maggiori riviste scientifiche internazionali parlano della necessità di una grande redistribuzione delle ricchezze, di tassare subito i più ricchi della Terra. Argomenti tabù in Italia. Fingiamo di finanziare il fondo “lost and damage” per i paesi del Global South e pensiamo che sia l’ennesimo fondo di “aiuti”, quando in realtà è un fondo di “risarcimento”, che è cosa ben diversa. Dobbiamo restituire il mal tolto dopo secoli di colonialismi e imperialismi, altro che aiuti paternalistici e buonisti. La vera ideologia non è la transizione ecologica, ma negare che esista il riscaldamento climatico e pensare che l’ambientalismo sia materia per radical chic. La vera domanda non è: chi paga la transizione ecologica? Ma: chi pagherà se non la facciamo?”

Rinascere dalle catastrofi – Il mondo, martoriato da conflitti armati ed altre situazioni di criticità, deve oggi far fronte a diverse emergenze. Alcune di queste, nella loro negatività, possono comunque portare ad una crescita o una rinascita dell’uomo. Nel caso della guerra, invece, non vi è alcuna prospettiva positiva all’orizzonte.

“Le guerre sono dolore inutile e basta, sono l’oscenità di Homo sedicente sapiens. Con le armi esistenti oggi, nessuno può dichiarare e vincere una guerra. Quando saranno finite, nessuno riporterà indietro le moltitudini di assassinati, in gran parte civili. Dalle guerre non si impara niente. Sono stupidità allo stato puro. Qualche mascalzone diventa ancora più ricco e basta. Invece dalle catastrofi ambientali impareremo, spero, a smetterla prima o poi di pensare che siano emergenze, calamità, tragedie di cui stupirsi. Come se non sapessimo che l’instabilità climatica e l’insicurezza climatica saranno i temi dei prossimi anni. L’approccio emergenziale piace ai politici, perché così elargiscono aiuti, piangono lacrime di coccodrillo ai funerali, gestiscono i fondi. Ma il vero investimento politico ed economico è la prevenzione, cioè ridurre il rischio futuro, la probabilità di eventi avversi e i loro danni su persone e cose. E invece tutte le volte affrontiamo la questione davanti al fatto compiuto. Questo non è razionale e non è etico. Per fortuna i giovani di oggi sono nativi climatici e ragionano in modo diverso: sanno che sarà loro compito fare rinascere l’umanità dopo questa traversata del deserto climatico.”

Dove può portarci il pensiero francescano? – A quest’ultimo interrogativo, Pievani evidenzia come il cammino di San Francesco, il primo ‘ambientalista’, ci inviti a riconsiderare il nostro ruolo all’interno della natura e a essere più generosi verso il Creato e le generazioni future, come adesso prevede anche la Costituzione italiana all’articolo nove.

“Il pensiero francescano può portarci a comprendere che siamo parte di una trama di relazioni più grande di noi, che non dominiamo e non controlliamo. Chi oggi non agisce, minimizza, nega la realtà o inventa diversivi, un giorno sarà ritenuto responsabile. Il cammino di Francesco per me è un tassello di una nuova grande alleanza che dobbiamo costruire insieme. Oggi parlano lo stesso linguaggio la comunità scientifica, il papa, i movimenti giovanili, le associazioni ambientaliste. Mondi diversi, che un tempo si parlavano poco e che adesso convergono nel dirci che abbiamo un problema e che dobbiamo avere la creatività e l’immaginazione per trasformarlo in un’opportunità.”

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