In ogni ecosistema il suolo è una risorsa di fondamentale importanza in quanto regola il ciclo naturale dell’acqua, dell’aria e delle sostanze organiche e minerali. Oltre a ciò, filtra e depura l’acqua, fissa gli elementi nutritivi e garantisce, dunque, sostentamento a tante specie vegetali ed animali, quindi anche all’uomo. Considerando che mediamente per formare 10 centimetri di terreno sono necessari 2000 anni, appare subito evidente che tale risorsa non può che rientrare tra quelle non rinnovabili. Nonostante ciò, l’uomo sta da decenni favorendo un progressivo processo di consumo del suolo che supera abbondantemente la sua capacità di rigenerarsi.
Tra i tanti fenomeni che stanno contribuendo a ridurne la disponibilità rientra sicuramente il problema della cementificazione. Questo termine indica un’eccessiva attività edificatoria che normalmente porta alla riduzione e al deturpamento del suolo e del paesaggio naturale. Analizzando il rapporto sul consumo di suolo 2022 redatto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) la situazione dell’Italia appare decisamente problematica, dato che negli ultimi anni la parte di territorio occupata da attività umane si è estesa notevolmente: soltanto dal 2020 al 2021 questa è aumentata di 69,1 kmq, crescendo ad un ritmo di 19 ettari al giorno (in pratica 2,2 mq al secondo).
A livello locale la conformazione geomorfologica e la densità demografica dell’Alta Valle del Tevere consentono ai comuni del comprensorio toscano e di quello umbro di mantenere uno standard globalmente accettabile. Ciononostante, nella piana attraversata dal Tevere e in particolare entro i confini amministrativi del Comune di Sansepolcro, la situazione risulta essere decisamente più complessa: secondo lo stesso rapporto sopracitato, il principale centro della Valtiberina si colloca su una fascia di consumo del territorio medio-alta con oltre il 9% del territorio totale. Appare piuttosto elevato anche il dato relativo alla densità dei cambiamenti 2020-2021: nel massimo range previsto, quello con valori superiori a 3 mq per ettaro, non solo Sansepolcro (+3,56 mq/ha) ma in questo caso anche Badia Tedalda (+26,3 mq/ha) e Pieve Santo Stefano (+10,7 mq/ha), che segnano rispettivamente il secondo e il quarto maggiore incremento in tutta la regione. Nel versante umbro della valle solo Città di Castello è nella stessa fascia per quanto riguarda l'aumento nel 2021 (+5,67 mq/ha), pur segnando una minore percentuale di consumo di suolo complessivo.
Il fatto che a Sansepolcro si registrino certi dati per alcuni versi non può che sorprendere, visto che lo stesso capoluogo valtiberino sta da tempo vivendo un sensibile calo demografico. Per ora tale trend non ha dunque, evidentemente, ridotto l’attività edificatoria, anche se nel consumo di suolo sono da considerare, oltre all’edilizia abitativa, anche altri interventi di trasformazione, come quelli che si legano alla realizzazione di nuove infrastrutture o quelli di natura produttiva. Proprio soffermandosi su questi ultimi appare forse opportuno considerare il fatto che la zona industriale Alto Tevere di Sansepolcro sta ancora espandendosi, non soltanto attraverso la realizzazione di impianti produttivi, ma anche grazie a nuove realtà commerciali. In mezzo a tutto questo, ciò che persino a colpo d’occhio appare ancora parzialmente incompiuto è il processo di riconversione di quegli edifici industriali dismessi che, seppur residualmente, caratterizzano sia la zona industriale Alto Tevere, sia le altre due aree di Fiumicello e Riello.
È comunque opportuno ricordare che a Sansepolcro la strada che porterà a recuperare porzioni importanti del patrimonio edilizio cittadino è già stata intrapresa e tra qualche anno se ne potranno vedere i risultati (basti pensare alla ex fungaia di Gricignano, all’area ex Buitoni in via dei Filosofi, all’ex stabilimento di Cose di Lana e ad altri progetti che riporteranno a nuova vita siti che erano caduti in disuso). In un’ottica futura sarà dunque decisivo continuare, da un punto di vista urbanistico, a sostenere questo percorso, favorendo una complessiva azione di recupero e riconversione che, oltre a ridurre l’eclettismo fra gli usi industriali, commerciali e residenziali, possa salvaguardare quei terreni “vergini” su cui altrimenti potrebbe essere più conveniente costruire.