Dalla scala globale fino a quella locale, negli ultimi anni sono stati espressi ufficialmente atti d’indirizzo incentrati sull’idea di fondo che l’acqua dovrebbe essere un diritto di tutti e non una risorsa mercificabile. Parallelamente a tutto ciò si è però anche assistito ad un crescente processo di “monetizzazione” della natura che ha coinvolto anche la risorsa idrica: in particolare con la sua quotazione in Borsa e il relativo lancio del primo future (7 dicembre 2020), l’acqua ha acquisito un valore finanziario che non potrà non essere influenzato dall’andamento dei mercati. In altre parole, così come le politiche energetiche sono ormai fortemente subordinate all’andamento delle quotazioni del petrolio greggio e del gas, l’accesso alla risorsa idrica sarà condizionato da dinamiche più o meno speculative che, senza pubblici strumenti di controllo, ne determineranno il prezzo mondiale.
In un momento storico in cui popolazione e aridità stanno crescendo vistosamente, si è dunque generato un grande interesse finanziario sulla risorsa acqua, tanto che alcuni economisti, come Riccardo Petrella, hanno spiegato questo processo ricorrendo al termine “petrolizzazione”. A ciò si deve sommare il fatto che negli ultimi anni molti segmenti finanziari sono stati soggetti ad oscillazioni molto marcate che hanno contribuito a diffondere maggiori incertezze tra gli investitori (basti pensare che nel 2022 il Dow Jones ha perso il 9,2%, il Nasdaq il 33,8%, mentre in Italia la Borsa di Milano ha chiuso con un -12,5%). All’interno di questo quadro complesso i comparti finanziari che potranno garantire maggiori garanzie e stabilità sono quelli che riguardano i cosiddetti prodotti ESG (Environmental, Social and Governance), ovvero tutte quelle utility e multiutility che gestiscono acqua e altri beni di prima necessità la cui domanda nel mercato, a prescindere da quello che accade nel mondo, è destinata a rimanere pressoché invariata nel tempo. Inoltre è opportuno ricordare che frequentemente i gestori di tali beni e servizi operano in contesti dove di fatto non c’è concorrenza e questo, indubbiamente, contribuisce a renderli ancor più appetibili per il mercato finanziario globale (in questo comparto per l’Italia si possono menzionare A2A, Acea, Hera ed Iren).
D’altro canto, se è vero che il mondo finanziario sta mostrando un crescente interesse per certi beni e servizi collettivi, è al contempo da rilevare che spesso pure i soggetti gestori degli stessi, compresi i soci di parte pubblica, sono sempre più attratti dall’idea di intraprendere un percorso di quotazione in Borsa. Tale iter, quasi sempre associato al presunto obiettivo di aumentare gli investimenti e contenere le tariffe dei servizi offerti, in alcuni casi sarà, se non altro, necessario per poter liquidare i soci privati delle attuali società di gestione del servizio idrico: in pratica una soluzione che potrebbe essere adottata anche all’interno di Publiacqua e Nuove Acque.
Alla luce di queste considerazioni è forse più facile comprendere perché nel mondo, così come in Italia ed in Toscana, nonostante gli orientamenti manifestati dalla politica e dai cittadini, la gestione dell’acqua stia seguendo un percorso parallelo che sta portando alla nascita di utility e multiutility che, come rivela l’etimologia della parola stessa, non sono altro che la declinazione operativa di un assunto economico-finanziario che ormai ha pervaso il pianeta e assuefatto le coscienze. In definitiva, in maniera graduale ed elusiva – quasi al limite del percettibile – la risorsa che è alla base della vita rischia di essere totalmente assimilata ad un processo di mercificazione che sembra già non lasciare margini ai buoni propositi espressi.