Nella notte dal 24 al 25 marzo un gruppo di partigiani toscani prende possesso di Villa Santinelli a San Pietro a Monte. Sono 18, per lo più di Sansepolcro, membri della banda che ha base sull’Alpe della Luna. In precedenza hanno requisito denaro da alcuni proprietari terrieri e ucciso un milite fascista.
Villa Santinelli pare loro il luogo adatto per rifocillarsi prima di proseguire. Però l’atteggiamento spavaldo tenuto nella campagna circostante dal loro comandante militare, il fiorentino Ermete Nannei, rivela a tutti la presenza dei “ribelli”. La notizia giunge a Città di Castello, da dove partono immediatamente reparti della milizia fascista. La villa viene posta sotto assedio, ma è così grande e solida da permettere ai partigiani una tenace resistenza.
A quel punto Armando Rocchi, la più alta carica del regime nella provincia, chiama in aiuto i tedeschi, che inviano sei autoblindo. La battaglia si fa impari. Alcuni partigiani riescono a fuggire nel bosco. Gli altri, stremati e a corto di munizioni, la sera del 27 marzo si arrendono.
Rocchi ne fa fucilare subito nove; altri quattro sono condotti a Perugia per gli interrogatori. Muoiono Eduino Francini, fondatore della banda, Giustino Bianchini, Alvaro Cheli, Spartaco Forconi, Giuseppe Gobbi, Corrado Luttini, Giuseppe Magnani e Donato Sbragi. Sei dei fucilati non hanno che 19 anni. La battaglia è fatale anche ai fascisti Cesare Ceccarani e Francesco Grassi.
I fatti di Villa Santinelli sono il primo sanguinoso episodio della Resistenza nell’Alta Valle del Tevere e lasciano una scia di sospetti e controversie. La guerra provocata dal nazi-fascismo sta portando gli italiani a uccidersi tra di loro.
Per approfondire: Storia tifernate. La fucilazione dei partigiani a Villa Santinelli.