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50 anni fa l’inaugurazione del Sacrario degli Slavi

Venerdì pomeriggio a Sansepolcro una cerimonia di commemorazione e il via a una mostra dedicata al complesso monumentale

La collocazione delle urne nel Sacrario degli Slavi di Sansepolcro, dicembre 1973 (foto Museo e Biblioteca della Resistenza)

Sono passati 50 anni dal 15 dicembre 1973, quando nel corso di una partecipatissima cerimonia venne inaugurato il Sacrario degli Slavi realizzato al centro del cimitero di Sansepolcro. La ricorrenza verrà celebrata venerdì su iniziativa della locale sezione dell’Anpi e dal Museo della Resistenza con la collaborazione del comune biturgense.

La giornata si aprirà alle 15.30 con una cerimonia al Sacrario, mentre alle 16.30, presso la Sala espositiva di Palazzo Pretorio, sarà aperta una mostra dedicata al memoriale che sarà visitabile fino al 21 dicembre. Nel corso del pomeriggio sono previsti gli interventi di Pietro Mariani del Politecnico di Milano, che parlerà dei Sacrari commemorativi, e di Alvaro Tacchini, che tratterà delle bande slave nella Resistenza locale e dei partigiani altotiberini nei Balcani.

La mattina successiva importante appuntamento anche a Caprese Michelangelo, dove verrà ripristinata la lapide ai caduti del distaccamento Lubiana della Brigata Partigiana Pio Borri (gli jugoslavi Dušan Bordon e Luka Pelović e il russo Pëtr Esipovič, uccisi nell’aprile 1944 a Caroni).

Quello di Sansepolcro è uno dei quattro Sacrari presenti in Italia (gli altri sono a Gonars in Friuli, Barletta in Puglia e Roma). Progettato dallo scultore jugoslavo Jovan Krahtovil, comprende un monumento in bronzo e una cripta dove sono collocate 446 urne zincate. Ciascuna di queste reca una stella rossa insieme a un nome con luogo e data di morte.

A riposare nel Sacrario sono civili morti durante la detenzione nei campi di prigionia italiani o caduti nella lotta di Liberazione dopo essersi uniti ai partigiani. Tra loro c’è anche la gran parte delle 160 persone morte di stenti nel campo di internamento fascista di Renicci ad Anghiari.

La presenza di civili jugoslavi nel nostro Paese e in Valtiberina durante la Seconda guerra mondiale è frutto delle deportazioni di decine di migliaia di persone sospettate di attività sovversive nei territori della Jugoslavia occupati dal Regio esercito. Qui era stato avviato un processo di italianizzazione forzata che ricalcava il modello di quello attuato nelle province slave già annesse dal Regno d’Italia dopo la Prima guerra mondiale.

Degli jugoslavi internati in Italia, intorno a diecimila trascorsero mesi in condizioni proibitive nel campo di Renicci, e circa 160 di questi morirono nell’autunno inverno 1942-1943. Nell’estate successiva furono trasferiti nel campo anghiarese anche antifascisti italiani che si trovavano al confino, mentre dopo l’8 settembre Renicci fu abbandonata dalle guardie e i prigionieri poterono fuggire, per la maggior parte unendosi alle formazioni partigiane.

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