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Abilismo: “Fenomeno da contrastare anche nella nostra vallata”

L’analisi di Miriam Pellegrini all’indomani del convegno dedicato a “Disabilità e nuove prospettive”

Venerdì 12 maggio scorso, al Centro congressi “La Fortezza”, si è tenuto un convegno sui diritti delle persone con disabilità e sugli strumenti da mettere in atto per la loro inclusione nella società, anche alla luce della nuova legge delega 227/21. L’iniziativa, organizzata da Fondazione Progetto Valtiberina in collaborazione con Associazione Valtiberina Autismo, Fondazione Riconoscersi, Cooperative sociali di zona (San Lorenzo e La Rua) e istituzioni, era aperta al pubblico e destinata a famiglie, operatori del settore e privati cittadini.

Un evento che ha catturato l’attenzione dell’Associazione Paratetraplegici Aretini, unica realtà associativa della vallata composta da persone disabili, della quale sono vicepresidente nonché rappresentante per la Valtiberina. Associazione che ha fatto proprio il motto “Niente su di noi che sia senza di noi”, su cui si fonda il Movimento Internazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità, e che oggi rivendica la propria disponibilità e volontà di partecipare direttamente in tutti i processi decisionali che riguardano questa tematica, in modo che venga preso in considerazione il nostro punto di vista nelle decisioni a noi destinate.

Negli anni l’Associazione Paratetraplegici Aretini ha collaborato responsabilmente con vari comuni della provincia per la formulazione dei PEBA (Piano Eliminazione Barriere Architettoniche) e per la fruibilità dei Beni Architettonici, azioni finalizzate all’innalzamento della qualità urbana, ancora piuttosto scarsa. E inoltre ha collaborato e collabora con l’Asl con proposte operative volte a facilitare l’applicazione dei nuovi programmi regionali, nonché con gli Ordini professionali anche attraverso l’organizzazione di eventi formativi. 

Queste mie considerazioni vogliono oggi rappresentare l’espressione di un parere costruttivo volto a migliorare la condizione di chi vive la disabilità sulla propria pelle, e pertanto la conosce meglio di ogni altro, dovendosi misurare ogni giorno con l’abilismo che ancora permea la nostra società. Questo termine, mutuato dal mondo anglosassone, indica la discriminazione e lo stigma perpetrati indistintamente nei confronti di chi ha corpo o psiche che differiscono da quelli che vengono considerati gli standard. Infatti, la prospettiva abilista da valore a un ideale di corpo/mente abile, marginalizzando e attribuendone di meno a quelli che si discostano da tale parametro.

L’abilismo è quindi un’oppressione sistemica, cioè una visione del mondo che si manifesta a tutti i livelli della società, che di fatto giustifica forme di disparità di trattamento e di opportunità, impedendo l’inclusione sociale e la piena cittadinanza delle persone disabili, che sono prima di tutto persone. Piena cittadinanza sancita dalla Convenzione Onu per i Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, ratificata nel nostro paese nel 2009, il cui scopo è quello di promuovere, proteggere e assicurare il loro pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà. In Italia è ancora largamente inattuata. Anche se il nostro paese a livello normativo era già all’avanguardia, vedi la legge quadro 104 del 1992, purtroppo però anch’essa perlopiù disattesa, alla quale è seguita la legge 227 del 2021, di cui si stanno aspettando i decreti attuativi.

Comunque, se alle persone disabili fosse data la possibilità di godere dei diritti già riconosciuti per legge, non ci sarebbe nessuna forma di discriminazione e la loro piena inclusione sarebbe già una realtà. L’evoluzione stessa del concetto di disabilità da assoluto a relativo ci fa comprendere come una persona non sia disabile in sé, ma lo sia in un contesto sfavorevole (ad esempio se si è in una sedia a rotelle e si deve entrare in un edificio privo di rampa). Non a caso l’obbligo di abbattimento delle barriere architettoniche è presente nella nostra normativa dal 1989 (in parte anche dal 1971) e il concetto di Accessibilità figura tra i principi fondamentali della Convenzione Onu, tanto per fare un esempio relativo ai diritti non applicati.

Tra l’altro questo potrebbe avere una ricaduta positiva per tutti, perché chiunque di noi nell’arco della sua vita può trovarsi in una condizione sfavorevole che lo porti a vivere dei periodi più o meno lunghi di disabilità, per non parlare dell’invecchiamento della popolazione. Ricaduta positiva anche per quanto riguarda l’economia, perché l’accessibilità innalza la qualità urbana delle nostre cittadine, rendendole mete turistiche di maggiore attrattiva.

La strada da compiere è ancora lunga, i pregiudizi da scardinare sono molti, possiamo dire che le barriere culturali sono di gran lunga più difficili da abbattere di quelle di cemento! L’inclusione è la chiave di tutto e i diritti delle persone con disabilità devono essere trattati in maniera trasversale in tutte le politiche, affinché non ci siano più persone disabili che vedono la luce soltanto dalla finestra, o bambini disabili che non riescono ad andare in gita e a volte neppure a scuola.  L’auspicio è che facendo rete tra associazioni, enti del terzo settore e istituzioni, anche attraverso l’organizzazione di eventi come quello di venerdì scorso, le cose piano piano possano cambiare.

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