Nella partecipata conferenza tenutasi venerdì sera al Museo Civico, Gian Piero Laurenzi ha presentato una relazione che – nel mettere assieme il cinquantennale lavoro svolto, in accordo con la Soprintendenza, del Gruppo Ricerche Archeologiche e del Centro Studi sul Quaternario di Sansepolcro – ha avallato, in maniera circostanziata, l’ipotesi secondo cui in Valtiberina passasse un’importante via di comunicazione che, dalla metà del II secolo in poi, consentiva di collegare Roma ad Aquileia. Quest’ultima era in quel periodo un importante caposaldo strategico attraverso il quale partivano le campagne militari per l’Istria, i Balcani e l’area Danubiana.
Riprendendo uno studio di Giovanni Uggeri, archeologo di fama internazionale che è venuto a mancare nel 2022, Laurenzi ha spiegato che nella prima metà del II secolo a.C. Aquileia ebbe un grande sviluppo grazie a Tito Annio Lusco, ovvero uno dei membri della commissione triumvirale che aveva fatto introdurre nella stessa colonia altre 1500 famiglie. Nel museo archeologico della città è ancora oggi presente la base che sosteneva una sua statua, dalla quale si può comprendere quanto questi fosse legato ad Aquileia; un rapporto che proseguì anche con l’omonimo figlio che divenne console nel 153 a.C. Fu proprio lui, secondo Uggeri, a realizzare una nuova via che per motivi strategici riusciva a collegare, attraverso il tragitto più breve possibile, l’avamposto nord-orientale con Roma: è così che nacque la via Annia, un’arteria stradale che nel ripercorrere la costa adriatica giungeva fino a Ravenna e da qui, deviando verso l’entroterra, attraversava la valle del Savio per poi oltrepassare l’Appennino e seguire, sulla sua riva sinistra, il corso del Tevere. La nuova via di comunicazione si trovò così a tagliare l’intera Alta Valle del Tevere, puntando verso Perugia, dove nei pressi dell’antica Arna, si andava ad immettere in un’altra strada conosciuta come via Amerina (da Ameria, ovvero Amelia); da qui, seguendo i raccordi che, tra la Cassia e la Flaminia, furono razionalizzati per accelerare i tempi di percorrenza, era dunque possibile arrivare a Roma. In definitiva, tale asse viario che venne progettato e realizzato più di 21 secoli fa, si trovò a coincidere con buona parte dell’attuale tragitto dell’E45.
Il fatto – ormai confermato anche da una serie di ritrovamenti archeologici – che questa strada attraversasse longitudinalmente il territorio valtiberino, consente finalmente di mettere in luce alcuni aspetti storici riguardanti quest’area che oggi è compresa tra Toscana e Umbria. Per Città di Castello e l’Alto Tevere umbro la presenza della via Annia fornisce ulteriori elementi per spiegare la crescita di Tifernum Tiberinum, l’insediamento che dopo essersi federato a Roma all’inizio del III secolo a.C., divenne due secoli dopo un vero e proprio municipio.
Per Sansepolcro e la Valtiberina toscana, l’attestazione di una strada romana è ancor più rilevante, dato che questa contribuisce a scrivere una pagina di storia che fino ad oggi appariva piuttosto lacunosa: confermando l’idea che in passato era stata espressa dallo storico Amelio Tagliaferri, la condizione di essere un territorio di passaggio portò infatti, nella parte settentrionale della piana, alla nascita di un vicus, cioè di un insediamento prossimo ad una via di comunicazione. È dunque in prossimità di tale antico abitato che, qualche secolo dopo, sorse Sansepolcro. Addirittura, come sostenuto tempo addietro da Giovanni Cecconi, la stessa città potrebbe essersi sviluppata proprio da questo primo nucleo, mantenendone grossomodo l’impianto urbanistico.
Tutto questo, dunque, trova oggi una rinnovata attendibilità, dato che innanzitutto il tragitto dell’Annia in Valtiberina è stato individuato localmente grazie ad una serie di testimonianze archeologiche: tra queste, come ha illustrato Laurenzi durante la sua esposizione, ci sono i resti di alcuni ponti romani la cui somiglianza strutturale suggerisce un unico utilizzo strategico militare. La strada formava dunque un rettifilo che partiva da città di Castello, eseguiva una lieve curva verso località Altomare di San Giustino, poi proseguiva dritta fino a San Pietro, la Madonnuccia, Baldignano, quindi Sigliano e Pieve Santo Stefano.
La presenza di un vicus nei pressi di Sansepolcro troverebbe invece conferma nelle varie testimonianze romane scoperte nell’area compresa tra la Pieve Vecchia e quella di Pocaia, dove è stata accertata la presenza di luoghi di culto e necropoli di età tardo-repubblicana e imperiale, oltre che in quella di un cippo funebre (oggi esposto al Museo Civico) rinvenuto in via San Gregorio. A tutto ciò si devono poi aggiungere i segni delle varie opere di centuriazione che hanno interessato la piana del Tevere (ancora in fase di studio) e tutte quelle testimonianze toponomastiche, ben illustrate nell’ultima pubblicazione del prof. Enzo Mattesini (“Toponomastica borghese”) che oggi, più che mai, possono aiutare a mettere ulteriormente a fuoco un antico segmento di storia locale.