Si incontrano nella casa di Amedeo Mastriforti, a Città di Castello. Hanno diverse idee politiche, ma li accomuna l’antifascismo. Sono comunisti Giovanni Taffini e Giuseppe Antoniucci; nutrono simpatie liberali Giuseppe Segreto, Aldo Bologni e Teodorico Forconi; il figlio di quest’ultimo, Cola, è socialista; sono infine esponenti cattolici Mastriforti, Donino Donini e Venanzio Gabriotti. Proprio su Gabriotti si concentrano le maggiori responsabilità: eroe pluridecorato della Grande Guerra, personalità stimata e autorevole, con la fama di irriducibile oppositore del regime fascista.
Nasce così il Comitato Clandestino di Soccorso per i partigiani tifernati. Il suo compito è complesso e pericoloso. La bande alla macchia necessitano di rifornimenti, di denaro e di armi. Inoltre manca ancora una loro comune strategia. Il Comitato si mette subito all’opera. Questo risoluto impegno porterà Gabriotti e Bologni alla morte di lì a pochi giorni.
Anche in altri centri della valle alcuni antifascisti si adoperano per dare concreto sostegno ai partigiani. Ad Anghiari sono attivissimi il calzolaio comunista Antonio Ferrini e l’ambulante anarchico Beppone Livi, con la moglie Angiola. Nel Comitato clandestino di Sansepolcro operano, tra gli altri, Dario Alberti, Claudio Longo, Ivo Pasquetti e Ugo Fusco, che con Sandro Marzani sono già in contatto con il tifernate Venanzio Gabriotti. Proprio la mancanza di un coordinamento tra partigiani umbri e toscani è uno dei limiti della Resistenza altotiberina.
Intanto il fronte bellico è ancora inchiodato a Cassino, dove i tedeschi stanno resistendo strenuamente all’avanzata degli Alleati.
Per approfondire: Storia tifernate. Il Comitato Clandestino di Soccorso di Città di Castello.