Tra San Giustino e Sansepolcro vengono rastrellati e rapiti alle loro famiglie decine di giovani. Sono destinati alla deportazione nel Reich per l’impiego forzato nelle industrie belliche germaniche. “Schiavi di Hitler”, così verranno chiamati. I giovani di Sansepolcro riusciranno a fuggire nelle prime fasi del trasferimento. Per quelli di San Giustino, una trentina, non c’è invece scampo. Prima tappa, il campo di smistamento di Fossoli, in Emilia; poi trasporto in vagoni-merci al lager di Mauthausen e ai campi di lavoro da esso dipendenti. Quattro di loro – il maestro Raffaello Fabbrini, l’unico adulto, Alessandro Rossi, Duilio Rubechi e Piero Simoncioni – non ce la faranno a reggere gli stenti e le violenze subiti a Mauthausen.
In precedenza, altri altotiberini sono stati brutalmente strappati ai loro affetti. Il 7 e l’8 maggio i nazi-fascisti prelevano una cinquantina di giovani dai 17 anni in su a Umbertide, Montone e Città di Castello. È un’azione fulminea e brutale, che si avvale della complicità di fascisti locali. Altri sono rastrellati nel Pietralunghese.
Gran parte di essi finiscono nei lager di Khala, presso Jena. Li attendono i cantieri, anche sotterranei, per la produzione delle nuove armi aeree con le quali Hitler spera di capovolgere le sorti del conflitto. Non tutti riescono a sopravvivere alle condizioni di lavoro disumane, alle malattie, alle violenze, al freddo e alla fame. Non tornano in Italia un umbertidese e quattro tifernati: Cesare Falleri, Primo Tacchini, di 18 anni, e i diciassettenni Ivreo Giuseppini e Armando Polpettini. Un altro tifernate, Bruno Consigli, avrebbe scritto una impressionante memoria di quella deportazione.
Per approfondire: Storia tifernate. Deportazione di civili.