Il 18 febbraio 1944 un minaccioso manifesto viene affisso ovunque nel Paese, anche nelle zone più remote della nostra valle. È noto come “bando del Duce”. Annuncia provvedimenti durissimi contro i renitenti alla leva, i disertori e i giovani militari che hanno abbandonato il reparto subito dopo essersi arruolati. Sancisce per loro la pena della fucilazione nel petto, sul luogo stesso della cattura o presso l’abituale dimora. Il bando dà poco tempo per regolarizzare la posizione. Vengono intimiditi anche i famigliari, che rischiano di perdere il lavoro e di subire pesanti discriminazioni.
Il regime fascista è in palese difficoltà. Si rende conto del disgregarsi del consenso nei suoi confronti. Nonostante la pressione sulla popolazione e il timore che incutono i tedeschi, hanno avuto un esito molto deludente le chiamate alle armi o al servizio di lavoro obbligatorio succedutesi dalla fine di settembre del 1943.
Gli oppositori riprendono vigore. La vastità della renitenza viene percepita come una grande manifestazione di resistenza passiva all’occupazione tedesca e al regime fascista.
Quei giovani dai 18 anni in su che ignorano i bandi, e che i nazi-fascisti chiameranno “banditi” e “ribelli”, si nascondono. Là dove il territorio lo permette, “vanno alla macchia”, protetti dalla popolazione rurale. L’Alta Valle del Tevere umbra e toscana brulica di fuggiaschi. Molti di loro diventeranno partigiani, combattendo con le armi per la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo.
Per approfondire: Storia tifernate. Uno sguardo generale.