Compie otto anni in questi giorni la legge n. 76 del 20 maggio 2016, nota anche come legge Cirinnà (il riferimento è alla senatrice Monica Cirinnà del Pd), sulle coppie di fatto e sulle unioni civili. È stato un altro momento di svolta nel costume italiano, perché fino a quel momento i diritti erano garantiti alle famiglie caratterizzate dal vincolo del matrimonio e non alle coppie conviventi. Poi parleremo anche delle unioni civili, ma intanto con la Cirinnà la famiglia non è più fondata in modo esclusivo sul matrimonio: è una comunione di vita materiale e spirituale, per cui anche i conviventi – o coppie di fatto – possono beneficiare adesso di gran parte dei diritti riconosciuti alle coppie sposate.
Ma in che modo riconoscere anche una convivenza? Sempre grazie alla legge Cirinnà, esiste un provvedimento che indica quali sono i diritti e gli obblighi di coloro che convivono, nonostante non siano sposati. In precedenza esistevano alcuni provvedimenti del Parlamento, vedi quello con il quale è stata estesa ai conviventi l’applicazione delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari. Entriamo nello specifico, iniziando con la definizione di “conviventi di fatto”, che indica due persone maggiorenni unite in modo stabile da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La convivenza di fatto tra persone eterosessuali, oppure dello stesso sesso, viene attestata attraverso un’autocertificazione in carta libera, presentata al Comune di residenza, nella quale gli interessati dichiarano di convivere allo stesso indirizzo. Il Comune, una volta abbia provveduto agli opportuni accertamenti, rilascerà il certificato di residenza e lo stato di famiglia. I conviventi non hanno nessun obbligo di presentare la sopra menzionata autocertificazione, perché la convivenza può essere provata con ogni strumento, anche con dichiarazioni testimoniali.
La convivenza di fatto viene rivolta a coloro che sia che siano eterosessuali, sia che siano omosessuali, hanno deciso di non contrarre matrimonio né di sancire il loro legame attraverso l’unione civile, ma che sono allo stesso modo meritevoli di tutela rispetto a determinati aspetti della vita. Quando siamo in presenza di una convivenza di fatto, i diritti e i doveri sono gli stessi che spettano al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario: la possibilità di far visita al proprio partner in carcere, il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero del convivente di fatto.
La facoltà di nominare il convivente come proprio rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute, o di morte, in relazione alla donazione di organi, alle modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, se il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno. In caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il convivente superstite può restare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e non oltre i cinque anni. Se il convivente superstite abbia figli minori o disabili, ha diritto di continuare a restare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha la facoltà di succedergli nel contratto. Lo stesso diritto al risarcimento del danno che spetta al coniuge superstite, in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo. Il diritto del convivente di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto di ricevere gli alimenti dall’ex convivente, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Il riconoscimento dei diritti, in base alla legge Cirinnà, è tale se le due persone formalizzano la loro convivenza recandosi al Comune per gli adempimenti di rito, tuttavia in Italia vi sono diverse coppie che, pur abitando sotto lo stesso tetto da anni, non vogliono registrare la loro unione e quindi non sono ufficialmente coppie di fatto. In questo caso, rimangono coppia di fatto, ma si distinguono dai conviventi di fatto per la minore tutela a loro accordata. La coppia di fatto non è disciplinata da nessuna legge e dovrà accettare la tutela che è stata loro riconosciuta nel corso degli anni da parte della giurisprudenza.
L’unione civile prende in considerazione una coppia formata da persone dello stesso sesso e ne stabilisce diritti e doveri reciproci. Le coppie di persone dello stesso sesso anagrafico rientranti nel novero delle unioni civili hanno gran parte dei diritti e degli obblighi delle coppie sposate e l’unione civile incide sullo stato civile della persona. Anche l’istituto dell’unione civile è stato introdotto con la legge Cirinnà, ma già nel 1986 vi era stata una proposta con la “Interparlamentare donne comuniste” e ad Arcigay, l’associazione per i diritti degli omosessuali. Un primo disegno di legge, poi nel 1988 – a seguito delle forti pressioni di Arcigay – l’onorevole socialista Agata Alma Cappiello presenta la prima proposta di legge per il riconoscimento delle convivenze, riportando la dicitura “tra persone” e indipendentemente dal sesso e dalla identità di genere. Anche se vi fu un iniziale tentativo di adombramento, negli anni Novanta aumenta il numero di proposte di legge per le unioni civili sia alla Camera che al Senato, ma anche dal Parlamento europeo sono ripetuti gli inviti a parificare le coppie gay con quelle eterosessuali e le coppie conviventi con quelle sposate.
Nel corso della XIII legislatura è stata presentata almeno una decina di disegni di legge, che però non è mai arrivata all’ordine del giorno dei lavori delle Camere, perché comunque le gerarchie cattoliche avevano posto veti non indifferenti. Ma il cammino non si ferma e nel 2003 il Parlamento europeo approva una risoluzione sui diritti umani nell’Unione Europea, il Rapporto Sylla, nella quale all’interno della sezione dedicata alle discriminazioni per orientamento sessuale “ribadisce la propria richiesta agli Stati membri di abolire qualsiasi forma di discriminazione – legislativa o de facto – di cui sono ancora vittime gli omosessuali, in particolare in materia di diritto al matrimonio e all’adozione” e “raccomanda agli Stati membri di riconoscere, in generale, i rapporti non coniugali fra persone sia di sesso diverso che dello stesso sesso, conferendo gli stessi diritti riconosciuti ai rapporti coniugali, oltretutto adottando le disposizioni necessarie per consentire alle coppie di esercitare il diritto alla libera circolazione nell’Unione”.
Nella XIV legislatura, il deputato Franco Grillini presenta una proposta di legge nel luglio del 2002 che configura il matrimonio al modello delle leggi approvate nei Paesi scandinavi, ma un avvenimento che dà risonanza ai patti civili di solidarietà. L’unione fra due uomini avvenuta al Consolato francese a Roma – si tratta di animatori della comunità virtuale Gay.it su internet, impegnati da anni nel movimento di liberazione omosessuale italiano – diventa l’occasione per la presentazione della proposta di legge da parte di Franco Grillini, sottoscritta da 161 parlamentari di centrosinistra. L’unione civile in Italia viene contemplata nel disegno di legge deliberato l’8 febbraio 2007 dal consiglio dei ministri e “Dico” è il nome dato a tali unioni, con iter interrotto dal governo Prodi. La discussione in Parlamento riprende con l’avvio della nuova legislatura nel marzo del 2013 e la commissione giustizia del Senato inizia a esaminare i vari disegni di legge di iniziativa parlamentare.
Una prima proposta di testo unificato dei disegni di legge all’esame congiunto della commissione giustizia del Senato viene depositata nel giugno del 2014 dalla senatrice Monica Cirinnà (Pd), nominata relatrice; a questa prima proposta di testo unificato seguiranno una seconda proposta di testo unificato, depositata nel luglio seguente e una terza proposta di testo unificato, depositata nel marzo del 2015. La terza proposta di testo unificato fu adottata il 26 marzo 2015 come testo base per il proseguimento della discussione in commissione giustizia, che procede con la presentazione degli emendamenti al testo. Il testo unico avrebbe dovuto portare i medesimi benefici del matrimonio alla coppia che sottoscrive l’unione civile, ma la relatrice Cirinnà decide successivamente di eliminare dal testo ogni riferimento al matrimonio nominando, però, tutti gli articoli del Codice Civile che ne trattano; il ddl prevede perciò il riconoscimento di quasi tutti i benefici riservati al matrimonio tra cui l’eredità, la pensione di reversibilità e l’adozione del figlio del partner, vietando esplicitamente però l’adozione congiunta da parte della coppia e imitando la legge sulle unioni civili tedesca approvata nel 2001. In più era previsto che l’unione civile fosse contraibile davanti all’Ufficiale dello stato civile solo da coppie dello stesso sesso.
Al termine dei lavori della commissione parlamentare, prima dell’approdo in aula della discussione, a votare favorevolmente il testo della relatrice sono il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, mentre a votare contro sono Nuovo Centrodestra, Lega Nord e Forza Italia. L’unico astenuto è però un senatore di quest’ultimo partito. In tutto vi sono 14 voti a favore, 8 contrari ed un astenuto. I tempi per l’esame degli emendamenti sono allungati poiché alcuni senatori di area cattolica, contrari al disegno di legge, propongono un numero massiccio di modifiche a fini prettamente ostruzionistici. Oltre la metà degli emendamenti presentati è respinta per inammissibilità e durante le votazioni viene proposto di adottare la cosiddetta “regola del canguro”, per eliminare gli “emendamenti fotocopia” posti dai contrari alla legge tesi ad ostruire il percorso della sua approvazione. Il 13 gennaio 2016 il Centro Studi Livantino, un centro di studi giuridici di matrice conservatrice, presenta un appello al Parlamento italiano affinché i contenuti del ddl vengano annacquati, in quanto altrimenti i diritti concessi alle coppie omosessuali sarebbero stati troppo simili a quelli del matrimonio civile e avrebbero aperto all’adozione del figlio del partner per le coppie omosessuali e sdoganato la surrogazione di maternità. Il dibattito del nuovo ddl Cirinnà inizia in Senato il 2 febbraio 2016.
A pochi minuti dal primo voto dell’aula il Movimento 5 Stelle comunica improvvisamente la propria contrarietà a votare la norma con lo strumento del canguro, nonostante le rassicurazioni fatte al Partito Democratico e agli attivisti LGBT nei giorni precedenti. Il Pd chiede allora l’interruzione temporanea del dibattito parlamentare, rilevando un cambiamento totale delle forze politiche a sostegno della propria proposta di legge. Il governo Renzi interviene nel dibattito e decide di accelerare l’approvazione del provvedimento cercando l’accordo politico nella sua maggioranza. Il 23 febbraio presenta quindi un maxi emendamento del governo che recepisce quasi integralmente il decreto Cirinnà per l’istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, qualificate come “formazione sociale specifica” con esplicito riferimento, però, all’articolo 2 della Costituzione e non all’articolo 29 (che tratta dell’istituzione del matrimonio). Il nuovo testo prevede tutta la serie di diritti e doveri sostanzialmente identici a quelli previsti per il matrimonio, stralciando invece la possibilità di adozione del figlio naturale del partner, cancellata in seguito al veto posto dall’ala cattolica e conservatrice della maggioranza e allo stallo venutosi a verificare. Viene cancellato anche l’obbligo di fedeltà per le parti dell’unione civile. Il testo, così modificato e su cui il Governo pose la questione di fiducia, fu approvato in prima lettura dal Senato nella seduta del 25 febbraio con 173 voti favorevoli (quelli di Partito Democratico, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica, il gruppo Alleanza Liberalpopolare-Autonomie dei senatori ex-Forza Italia vicini a Denis Verdini, i senatori a vita Mario Monti, Giorgio Napolitano ed Elena Cattaneo) e 71 contrari (Sinistra Ecologia Libertà, alcuni senatori dissidenti del Nuovo Centrodestra, Forza Italia, Lega Nord), mentre il Movimento 5 Stelle non partecipa al voto, confermando la propria scelta di non votare a favore o contro il provvedimento.
Il disegno di legge passa all’esame della Camera il 9 maggio 2016; anche in questo caso il governo pone la questione di fiducia, evitando qualsiasi modifica rispetto al testo licenziato dal Senato, che fu approvato in via definitiva l’11 maggio con 372 voti favorevoli (Partito Democratico, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica, Alleanza Liberalpopolare-Autonomie, Sinistra Ecologia Libertà, Partito Socialista Italiano, DeS, Centro Democratico, Minoranze linguistiche più 10 deputati dissidenti di Forza Italia), 51 contrari (Forza Italia, Lega Nord, Unione di Centro più diversi dissidenti di Nuovo Centrodestra e DeS) e 99 astensioni (Movimento 5 Stelle e Possibile). L’ok dà il via a festeggiamenti in tante piazze italiane, con diversi municipi illuminati con i colori della bandiera arcobaleno su volontà dei rispettivi sindaci. Per contro, vi sono anche proteste e polemiche sul versante opposto, vedi il mondo cattolico: la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) critica il ricorso al voto di fiducia, gli organizzatori della manifestazione per i diritti della famiglia tradizionale denominata “Family Day” e parte del centrodestra annunciano l’avvio della raccolta firme, poi mai portata avanti, per un referendum abrogativo. Il disegno di legge approvato dal Parlamento è stato promulgato, Sergio Mattarella, il 20 maggio, per essere pubblicato il giorno successivo sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. La legge è entrata in vigore il 5 giugno 2016. All’indomani dell’approvazione definitiva della legge da parte del Parlamento, la maggioranza degli italiani (oltre il 60%) si dichiara favorevole alla legge, soltanto un 19% si dichiara contrario e un 21% ammette di non avere un’opinione precisa al riguardo.