“La situazione in Toscana, rispetto a quella di altre zone d’Italia come quella del Po, non è così preoccupante”, afferma Betti, direttore della Federazione Provinciale Coldiretti di Arezzo, parlando della tematica della difficoltà idrica. “La quantità di acqua che abbiamo è quella tipica di questo periodo. Il problema è che, in virtù della crescente preoccupazione legata alla siccità, c’è una resistenza alla distribuzione dell’acqua, di cui però ci sarebbe bisogno. Le imprese sono solite usare dei piccoli invasi propri, per accumulare acqua durante l’inverno, ma oramai quelli sono esauriti. È quindi ovvio che cominceremo ad avere problemi piuttosto importanti, e questo anche se dovesse piovere”.
La mancanza di acqua non andrà a pregiudicare la qualità dei prodotti, ma intaccherà certamente la quantità dei raccolti: “Oramai non piove più in maniera importante da così tanto tempo che la quantità di acqua che può arrivare da un acquazzone non sarebbe sufficiente a recuperare. Tutte le produzioni che al momento sono in fase di raccolta, come grano e cereali, hanno sofferto moltissimo e ci sono quantità di prodotto molto ridotte, anche se di qualità buona. La paura è che anche le coltivazioni della tarda estate e di inizio autunno, come i prodotti vitivinicoli o l’olio, soffrano anch’essi in termini di quantità. Per quanto riguarda l’olio d’oliva, già l’anno scorso abbiamo avuto un raccolto pressoché insignificante, mentre quello dell’uva, che prometteva bene, sarà ugualmente ridotto. In campo agricolo il margine di guadagno non è immenso; perciò, questo non sarà un anno da ricordare in modo molto felice”.
“Contenuti all’interno del Pnrr ci sono investimenti straordinari per circa duecento miliardi di euro. Di questi, meno del 2% sono destinati alla riorganizzazione e all’uso consapevole dell’acqua”, spiega Betti. “Questo è sbagliato. Il cambiamento climatico ormai è una realtà, con estati che cominciano molto presto e ci lasciano per molto tempo senza pioggia. Abbiamo quindi bisogno di accumularne quando c’è. L’Italia ha una piovosità più alta dell’Inghilterra, ma il problema è che l’85% di quest’acqua piovana torna al mare. Per accumularla e poterla usare alla bisogna servono investimenti, utilizzando anche nuove tecnologie in modo da non sprecare acqua. A nostro parere sarebbe utile la realizzazione di piccoli invasi, pubblici o privati”.
L’altro tema che tiene banco è certamente quello dell’aumento dei prezzi, legato a doppio filo con il conflitto russo-ucraino. “Qualche anno fa si pensava alla globalizzazione come una grande opportunità. Oggi si è capito che basta una variabile, come quella della guerra in Ucraina, per metterci in difficoltà. Questo ci deve far riflettere anche sull’auto-sostenibilità e sullo sviluppo di energie alternative”, afferma Betti. “Il fenomeno dei rincari era cominciato già prima dell’inizio della guerra, probabilmente per effetto della ripartenza di alcune economie rimaste bloccate per due anni dal Covid, come quelle cinesi e indiane, che ha richiesto un’immensa quantità di energia e carburanti fossili. Quello che sta succedendo in Ucraina ha poi velocizzato e acuito questa tendenza. Adesso il prezzo del gasolio agricolo è quadruplicato. Inoltre, tutta la parte chimica della concimazione arriva da quella parte del mondo ed è ora bloccata, facendo alzare i costi in maniera esponenziale”.
“Al giorno d’oggi un prodotto agricolo costa almeno il doppio di quanto non costasse prima del 2022”, conclude Betti. “Oltretutto, per i problemi di cui sopra, la quantità sarà certamente inferiore all’aspettativa. Per quest’anno l’incertezza e la preoccupazione sono ancora più grandi rispetto ai periodi bui di quarantena delle due passate annate”.
Il problema siccità si sta abbattendo anche sulle realtà agricole valtiberine, che faticano a reperire acqua nonostante la vicinanza delle Diga di Montedoglio. “Le riserve di acqua di chi non ha accesso a bacini come quello di Montedoglio stanno ovviamente scarseggiando. Il paradosso è che la diga si trova sul territorio della Valtiberina, ma in quella zona l’attingimento all’acqua è estremamente ridotto. Su questo aspetto da parte del territorio c’è grande attenzione e volontà di intervenire”.
Se si parla di agricoltura in Valtiberina, non si può prescindere dal tabacco, un prodotto che in passato ha fatto le fortune del territorio, ma che ora in molti vorrebbero sostituire con altri tipi di colture. “Purtroppo la quantità di superficie agricola dedicata alla produzione del tabacco in Valtiberina è enormemente ridotta rispetto a una ventina di anni fa”, dichiara Betti. “Queste coltivazioni sono storicamente di alta qualità ed è ovvio che a chi le produce debba venire riconosciuto un prezzo adeguato, cosa che a volte non avviene. Per quanto riguarda invece i prodotti inquinanti utilizzati durante la produzione, negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti, sia a livello nazionale che locale. Quindi annullare totalmente una coltivazione storica e radicata come il tabacco per passare di punto in bianco ad altro credo sia esagerato e nasconde un tipo di interesse non propriamente rivolto a tutti. Il tabacco rappresenta anche la storia e la vita delle persone che lo coltivano e non si può pensare di cambiare tutto attraverso un decreto. È però ovvio che il consumo di un prodotto del genere, che non fa certo bene alla salute, è in forte diminuzione e una rivoluzione probabilmente dovrà esserci, e chi produce tabacco nel momento in cui questo non sarà più redditizio farà giocoforza scelte differenti”.