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Trent’anni fa l’incendio alla Cisa Soldini: Anghiari perse per sempre la sua fabbrica

Il fuoco distrusse il calzaturificio nella notte fra il 13 e il 14 aprile 1994. Dipendenti ricollocati, ma promesse di ricostruzione poi non mantenute

Dagli archivi di TTV: il racconto dell'incendio alla Cisa Soldini (aprile 1994)

Un autentico colpo per l’economia di Anghiari e della Valtiberina. Una tragedia senza vittime – per fortuna – anche se tale sotto tutti gli altri aspetti. L’illusione di una ricostruzione promessa ma non più realizzata e quella base di cemento ai piedi del paese che rimane a mo’ di rudere, come se la struttura fosse stata rasa al suolo. E così è da 30 anni esatti. Nella notte fra il 13 e il 14 aprile del 1994, un mercoledì e un giovedì, le fiamme attaccarono e distrussero il calzaturificio Cisa Soldini, ossia il più grande insediamento produttivo di Anghiari, che dava lavoro a 230 persone e che a sua volta era in attività da una trentina di anni.

L’incendio cominciò a divampare intorno alle 22.30 del 13, a causa di un corto circuito su un macchinario posizionato nel magazzino suole; il custode si accorse e provò a fare il possibile con un estintore, ma fu tutto inutile: il fuoco aveva trovato esche facili in fustini di pece, collanti, caucciù e materiale per la produzione delle scarpe. Poche ore prima che si originasse il rogo era arrivato un carico di pellame e le bombole di gas avevano iniziato a scoppiare. Nonostante l’intervento immediato dei vigili del fuoco, ma anche della proprietà e dei dipendenti, ogni tentativo risultò vano: della fabbrica rimasero in piedi solo la mensa interna con annessi alcuni magazzini, più il nuovo prefabbricato dove da poco era stato aperto il punto vendita tuttora operante.

Il resto andò in fumo: la stima parlò di danni superiori ai 10 miliardi di lire. Per diversi giorni, il fumo nero acre e denso continuò a sporcare il cielo, risparmiando tuttavia il borgo di Anghiari, perché il vento lo trascinò in una direzione diversa, verso nord. Scongiurato, per fortuna, anche il pericolo di contaminazione dell’ambiente: non essendovi prodotti contenenti cloro, che con la combustione possono dare origine a fumi tossici come la diossina, l’unica forma di inquinamento era quella generata dalla combustione, per cui nessun rischio di evacuazione e popolazione che sotto questo profilo poteva stare tranquilla. Le conseguenze del disastro si estesero anche all’indotto, ovvero aggiunterie e tomaifici artigiani: una trentina di aziende e 120 dipendenti.

L'incendio Soldini

Rimaneva in piedi la sola fabbrica di Capolona, il paese nel quale la Soldini è stata fondata nel 1945. I numeri dell’attività erano eccellenti in quel periodo, con la produzione della gamma “Stone Haven” e un volume di affari del Calzaturificio Italiano Soldini che appena due anni prima (sono dati relativi al 1992) era stato pari a 38 miliardi e 785 milioni di lire. Non solo: per soddisfare le commesse, venivano effettuati gli straordinari il sabato e nei mesi precedenti all’incendio erano stati assunti 40 giovani. Insomma, la classica botta fra capo e collo, tanto più che proprio l’unità produttiva di Anghiari era il “motore” dell’intero gruppo, con la parte commerciale e la punta più avanzata del campionario.

Facile immaginare lo stato d’animo di proprietà e maestranze, in preda a uno sconforto che non sarebbe potuto e dovuto durare a lungo per ovvi motivi; anzi, proprio in quel frangente l’unica medicina era una bella dose di fiducia e di voglia per far riedificare lo stabilimento, che i dipendenti trasmisero alla proprietà Soldini con il supporto dei sindacati. Della serie: non mollate! I siti di Capolona e di Subbiano (a poco più di 25 chilometri di distanza da Anghiari) vennero subito incontro alle esigenze di ricollocazione degli operai nell’immediato e per Soldini sarebbe dovuta iniziare una nuova scommessa.

Di lì a poco, prese il via la serie delle assemblee, imperniate attorno a un’unica finalità: quella di avere certezze sulla ricostruzione della fabbrica, non dimenticando le enormi difficoltà nel fronteggiare le pesanti conseguenze, quali materiali distrutti, necessità di una ripresa del mercato con i clienti e risposta puntuale agli ordinativi. Il fuoco aveva distrutto anche lo storico dell’azienda: campionari, sviluppo dei modelli e rapporto con clienti e fornitori. Il commendator Gustavo Soldini, fondatore del calzaturificio assieme ai fratelli, espresse la sua volontà di andare avanti e partì anche la ricerca di siti alternativi da mettere a sua disposizione. A distanza di circa una settimana, si tenne una nuova assemblea al palazzetto dello sport di Anghiari e il commendator Soldini venne accolto da un grande applauso al suo ingresso.

riunione soldini

Tanta volontà, ma bisognava riprendere il lavoro e salvare lo stipendio di operai e artigiani che lavoravano per la Soldini, oltre che ricostruire il fabbricato. Anche da parte delle pubbliche istituzioni, la solidarietà inizialmente dimostrata non era più sufficiente. Ad Anghiari c’era in quel periodo il commissario prefettizio, Renato Bartoli, che garantì la disponibilità gratuita dei tecnici privati nel redigere un piano per il rilascio della concessione edilizia e l’individuazione di zone e siti nei quali demolire le parti distrutte oppure stoccare e riciclare i materiali. Gustavo Soldini, visibilmente emozionato, parlò di stimolo che gli operai avevano dato a lui nel ripartire e nel ricreare uno stabilimento più bello di quello che era andato distrutto, anche se non sarebbe stata un’impresa facile.

La soluzione scontata dei primi tempi fu quella di ricollocare i dipendenti a Capolona, anche se non tutti fin dall’inizio, per cui gli altri sarebbero stati coperti con la cassa integrazione dal giorno dell’incendio fino a quello del rientro. Come dire, dapprima il lavoro poi la ricostruzione della fabbrica, sfruttando la possibilità di attingere a quelli che erano i finanziamenti nell’ambito dell’obiettivo 5b. Tanti buoni propositi, tante promesse, ma alla fine lo stabilimento ad Anghiari non è stato ricostruito. Una pia illusione, allora, dal momento che in primis era stato lo stesso commendator Gustavo Soldini (morto nel febbraio del 2012 all’età di 94 anni) a dare qualche speranza ai suoi dipendenti? Intanto, dopo quel tremendo rogo dell’aprile 1994, Gustavo Soldini lasciò la gestione dell’azienda nelle mani del figlio Rossano, che poi nel 1998 sarebbe diventato direttore e avrebbe effettuato investimenti a livello di innovazione e differenziazione dei canali di distribuzione.

Negli anni 2000, si è registrato l’ingresso in nuovi mercati con la registrazione di nuovi brevetti industriali, ma il rapporto con Anghiari si chiuse definitivamente subito dopo il grosso incendio di trent’anni fa, quando ancora il mondo era distante dagli eventi che avrebbero caratterizzato il nuovo millennio. C’era stato – questo sì – un periodo di crisi poco tempo prima, ma fu sostanzialmente un qualcosa di passeggero: la Soldini era in salute e per Anghiari era divenuta la fabbrica per eccellenza, come in zona lo erano state la Buitoni di Sansepolcro e la Nardi di Selci Lama. Comprendemmo subito e ci rendemmo partecipi del dramma economico che aveva messo ko Anghiari, rimasta dall’oggi al domani senza la sua grande azienda.

soldini incendio

La ricostruzione? Gli anghiaresi ci speravano ed era normale che fosse così, ma forse anche in cuor loro c’era il sentore che sarebbe andata a finire diversamente. Anche ammesso che vi fosse stata una componente affettiva, due – a nostro giudizio – erano state le motivazioni forti che con ogni probabilità fecero cadere ogni speranza: la prima era l’ingente onere che avrebbe comportato la ricostruzione di un insediamento industriale, combinata con la seconda motivazione, cioè la vicinanza dell’altro sito produttivo. Fra Anghiari e Capolona, o Subbiano, vi sono soltanto 25 chilometri di distanza e poco più, che diventano 20 minuti di auto e una mezzora di bus.

Da stanziali, i dipendenti sarebbero diventati semi-pendolari, quindi sarebbero stati messi in una condizione accettabile: il posto di lavoro (che poi alla fine è la cosa che conta) e una modificazione non troppo sensibile delle abitudini giornaliere. Tutte ragioni oggettive, che hanno senza dubbio penalizzato gli anghiaresi occupati dalla Soldini, ma che non possono costituire comunque – anche dopo tanti anni – un motivo di rimostranza nei confronti della proprietà. Queste eventualità erano state messe sul piatto e chi ragionava da lucido spettatore le aveva previste.

È rimasto nel luogo della fabbrica il solo punto vendita, che comunque è da considerare un buon servizio. La Soldini non è stata più ricostruita ad Anghiari? Ci stava, ne’ era il caso di stupirsi più del dovuto, nonostante sia normale per tutti rendersi conto del fatto che perdere di punto in bianco (a causa di un evento accidentale) una fabbrica importante sia un forte dispiacere. Anche in un paese che oggi imposta molto la sua economia sul turismo, valorizzando le bellezze del borgo e la sottostante Piana della Battaglia, dove ancora oggi – sul lato di destra provenendo da Sansepolcro – c’è la testimonianza di quell’insediamento imponente che da trent’anni non esiste più.  
 

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