Riuscirà a prendere corpo, a Città di Castello, l’ambizioso progetto della trasformazione di piazza Giuseppe Garibaldi in piazza Alberto Burri, esaudendo così quello che fu il sogno del grande maestro tifernate, considerato il più grande artista contemporaneo? A sentire la Fondazione “Palazzo Albizzini-Collezione Burri” sembrerebbe proprio di sì e torneremo su questo che è da considerare l’aspetto chiave di una storia iniziata 40 anni fa. Operazione preliminare: la demolizione dell’edificio che ha ospitato la scuola elementare intitolata anch’essa a Giuseppe Garibaldi e che è posizionato sul lato della vecchia statale 3 bis. In una delle ultime sedute del consiglio comunale (stiamo parlando di settembre), l’assessore Michela Botteghi ha parlato di demolizione dell’edificio della ex scuola elementare Garibaldi, sul lato della vecchia statale 3 bis, che dovrebbe essere oramai imminente, non dimenticando che da tempo l’immobile versa in stato di degrado e abbandono. La Botteghi ha così risposto al consigliere di opposizione Tommaso Campagni (Forza Italia), che aveva presentato una interrogazione sull’argomento anche alla luce del ritrovamento di faldoni e archivi contenenti informazioni e dati sensibili, che in teoria andrebbero protetti ma che in realtà erano alla mercè di tutti.
Ma facciamo un passo indietro di un anno, perché nell’agosto del 2023 la Fondazione “Palazzo Albizzini-Collezione Burri” dà la propria disponibilità al Comune ad assumersi l’onere della demolizione della ex scuola e della bonifica dell’area circostante. L’accordo di programma Comune-Fondazione, firmato nel 2018, vede al posto della scuola da abbattere un’enorme struttura nera di 16mila metri cubi, con un’altezza di 20 metri, lunga 58 e profonda 16. Mentre a distanza verrà collocata l’opera a cinque arcate TeatroScultura, del diametro di 14 metri e altezza 9. Il piano rispetta la volontà del grande artista tifernate e lega una volta di più Città di Castello allo straordinario patrimonio artistico di cui è erede, ben 500 opere in tre musei, per divenire punto di riferimento internazionale per il mondo dell’arte contemporanea. Grazie anche al futuro Centro di arte e documentazione contemporanea che verrà allestito nel piano nobile di Palazzo Vitelli a Sant’Egidio sulla stessa piazza, che ha una storia da raccontare.
Ed è appunto ciò che vogliamo fare nella prima parte di questo speciale, ovvero conoscere le origini e l’evoluzione di una piazza che a suo tempo è stata la più importante di Città di Castello e che è destinata, nelle intenzioni, a cambiare denominazione per la quarta volta. Oggi peraltro è la piazza dei bus, in passato era quella in cui anche eleganza e mondanità si incontravano.
Una piazza che ha già avuto tre denominazioni
Inizialmente si chiamava piazza della Stazione, perché davanti c’era lo scalo ferroviario; poi piazza Marsala (dal 1890), ma la piazza esisteva già dal ‘500: c’era la vecchia Porta Sant’Egidio e le mura di cinta vennero abbattute per costruire l’ultimo Palazzo Vitelli di stampo rinascimentale. La statua di Garibaldi (1887) era stata collocata vicino al vecchio Caffè Appennino, con funzione anche di isola spartitraffico e l’intitolazione della piazza all’eroe dei due mondi è datata 1896. Ma era soprattutto la piazza principale della città. Il Comune garantì che di fronte alla facciata di Palazzo Vitelli non vi sarebbero state edificazioni, per cui l’idea di piazza era evidente. Nel 1927, il Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti diede il permesso per la demolizione dei due “torrini” di Porta Sant’Egidio e del tratto di mura nell’antico gioco del pallone, corrispondente all’attuale giardino di piazza Garibaldi.
Il podestà di allora, Luigi Mignini, fece notare il contrasto fra il lato “ridente” di Palazzo Vitelli e quello “deserto” che si trova di fronte, ragion per cui vi venne appunto allestito il giardino, che avrebbe conferito decoro e razionalità alla zona, come ebbe a rimarcare lo stesso podestà. L’abbattimento dei “torrini” rese più ariosa la piazza, anche se l’aumentata mole di traffico finì con il rendere penalizzante la posizione in cui si trovava la statua, che nel 1935 venne trasferita al centro del giardino, quello accanto al noto bar Tassi. E anche la stazione avrebbe di lì a poco cambiato posto, in previsione dell’allungamento della ferrovia da Umbertide fino a Sansepolcro. Palazzo Vitelli a Sant’Egidio e Palazzo Albizzini sono i due grandi edifici che si affacciano su piazza Garibaldi. Il primo è uno dei quattro che l’omonima famiglia fece costruire a Città di Castello dalla fine del XV secolo alla seconda metà di quello successivo. Fatto erigere dal condottiero Paolo I Vitelli, che era al servizio del Papato, è espressione della grandezza della città durante il periodo rinascimentale e della potenza della famiglia Vitelli. Palazzo Albizzini, sede della Collezione Burri e della Fondazione, è separato da Palazzo Vitelli da una strada: si tratta di un altro elegante immobile della seconda metà del secolo XV, che oggi ospita una sezione di circa 130 opere di Alberto Burri, quali i primi catrami, le muffe e i sacchi degli anni ’50. Nelle venti sale in cui sono allestiti i pezzi, seguendo l’ordine cronologico, si trovano poi legni e ferri, plastiche e cretti e grandi cellotex. A Palazzo Albizzini, aperto nel 1981, hanno sede anche la biblioteca, la fototeca e l’archivio con la bibliografia dell’artista, mentre l’altra grande esposizione dedicata a Burri si trova negli ex Seccatoi del Tabacco.
Nel corso dei decenni, sono state soltanto due le operazioni che hanno modificato l’aspetto di piazza Garibaldi: abbiamo già ricordato la prima, ossia lo spostamento nel giardino del monumento a Giuseppe Garibaldi avvenuto nel 1935, mentre la seconda è relativa alla Fontana della Pace, una vasca di forma ellittica con cinque getti di acqua che venne realizzata negli anni ’50 proprio al centro, con un perimetro esterno verde che ne faceva un’aiola e che costituiva una sorta di biglietto da visita per chi entrava deviando dalla statale 3 bis. Venne eliminata negli anni ’80 del secolo scorso anche per motivi legati alla sua pericolosità: era recintata con un muretto alto appena una quarantina di centimetri e anche un bambino piccolo avrebbe potuto tuffarsi e finire dentro di essa, per cui si decise di fare prevalere la ragione della sicurezza. È rimasta perciò solo l’aiola.
L’idea di Alberto Burri
Di lì a poco – siamo nel 1984, quindi 40 anni fa esatti – prende sempre più corpo l’idea di una sistemazione della piazza; idea che proviene da Alberto Burri e dall’ingegner Eugenio Bruschi, ora ex dirigente del settore urbanistica e lavori pubblici del Comune di Città di Castello. La finalità è quella di conciliare il progetto con le esigenze della città. Anche il sindaco di allora, Giuseppe Pannacci, si dimostra favorevole al progetto e dice “sì” a uno studio di fattibilità. Negli intendimenti di Burri, c’è un edificio in vetro al posto di quello della scuola ora in fase di demolizione, mentre al centro è prevista l’installazione della scultura delle tre “emme”, una più grande dell’altra. Anche la viabilità avrebbe subito modificazioni, poiché la piazza sarebbe divenuta soltanto pedonale. Burri e l’ingegner Bruschi si incontrano più volte per studiare la soluzione e insieme all’architetto Tiziano Sarteanesi iniziano a redigere il piano; due anni più tardi, nel 1986, viene approvata la convenzione fra il Comune e la Fondazione Albizzini, però tutto finisce qui: l’idea di Burri e della nuova piazza rimane di fatto un sogno non realizzato dall’artista, che morirà nel 1995. Una grande occasione persa, a detta dell’ingegner Bruschi.
L’accordo di programma Comune-Fondazione
Un vuoto di tantissimi anni, fino a quando nel 2018 l’argomento di piazza Burri non torna di attualità. Nel mese di giugno, il consiglio comunale di Città di Castello approva l’accordo di programma integrativo fra il Comune e la Fondazione “Palazzo Albizzini-Collezione Burri” sulla risistemazione di piazza Garibaldi. Al posto della scuola, è prevista una struttura di colore nero del volume di 16mila metri cubi, alta 20 metri nel punto massimo, con una lunghezza di 50 metri e una profondità di 16; a distanza verrà collocata l’opera TeatroScultura, consistente in cinque arcate su base circolare con diametro di 14 metri e altezza di 9, che unirà in una ideale linea retta i manufatti a Palazzo Albizzini sulla base del modellino a suo tempo realizzato dal grande artista. La struttura sarà in materiali moderni a tre piani di 735 metri quadrati e uno interrato, per un totale di 3mila metri quadrati. È l’ultimo sogno di Alberto Burri non ancora realizzato dopo il catalogo generale, i tre musei, il Teatro Continuo di Milano e il Cretto di Gibellina.
Il costo ammonta a 15 milioni di euro, più gli altri 15 della valutazione di mercato del Teatro Scultura. Finanziamento da parte della Fondazione e della società accreditata ad operare per interesse istituzionale dalle autorità degli Emirati Arabi, che insieme, dentro la struttura, gestiranno Alveare, un centro internazionale per la promozione di grandi progetti e grandi talenti. Il Comune manterrà in capo il controllo e si impegna a rivedere e adeguare la viabilità. La realizzazione è prevista dal piano regolatore in adozione e dal piano di mobilità urbana, entrambe nel contesto del quadrante che comprende i Molini Brighigna e la zona retrostante l’attuale piazza Garibaldi.
I tempi di completamento erano previsti allora per la primavera del 2020, ma ovviamente sono slittati. C’era stata una proroga al giugno 2021, ma la pandemia aveva frenato tutto. Un anno fa, il consiglio comunale tifernate era tornato sull’argomento del centro dedicato all’arte contemporanea, così come aveva pensato Alberto Burri, a seguito delle interrogazioni presentate da Andrea Lignani Marchesani di Castello Civica-FdI e da Emanuela Arcaleni di Castello Cambia. Il primo aveva ricordato come la Fondazione avesse dovuto informare il consiglio (e non la stampa) sulla sua volontà di farsi economicamente carico della demolizione, ma soprattutto aveva insistito sui tempi di realizzazione della piazza, una volta a posto con la demolizione e se la Fondazione potesse contare su risorse proprie, oppure avesse trovato un partner voglioso di finanziare la prestigiosa operazione. La Arcaleni aveva invece chiesto al sindaco quale fosse il progetto complessivo, chi avrebbe dovuto gestire l’area alla fine dei dieci anni previsti di gestione della Fondazione e per quanto tempo si sarebbe andati avanti con la spianata, cioè con la superficie deserta, dopo aver concluso la demolizione. Nella sua risposta, il sindaco Luca Secondi aveva precisato come la Fondazione non avesse mai manifestato difficoltà nella realizzazione dell’opera, né nella individuazione dei soggetti collaboratori della gestione successiva. Inoltre, nell’arco di mesi la stessa Fondazione si sarebbe impegnata nella presentazione del project financing riguardante la realizzazione della piazza.
Non sono mancate le prese di posizione: Andrea Lignani Marchesani di “Castello Civica”, pur riconoscendo la validità del progetto, solleva questioni sulla tempistica di realizzazione e soprattutto se la Fondazione è in grado di coprire l’operazione con fondi propri o se troverà un altro partner al posto degli arabi, che possa investire e credere su piazza Burri. A rispondere indirettamente a queste domande è l’architetto Tiziano Sarteanesi, membro del consiglio di amministrazione della Fondazione, presieduto da Bruno Corà: “Intanto, alla demolizione dell’immobile della ex scuola Garibaldi deve provvedere il Comune – sottolinea – perché la Fondazione non può intervenire su un edificio posto su un terreno non di sua proprietà. Attendiamo quindi che il Comune proceda con l’abbattimento e poi inizieremo a realizzare quanto è stato scritto sull’accordo di programma. È chiaro che dovremo avere la disponibilità delle superfici sulle quali operare, ma noi siamo pronti per dare il via a piazza Burri”. Il che presuppone anche una garanzia dal punto di vista delle coperture economiche.