Tra i marchi di fabbrica di Tovaglia a quadri c’è l’abilità, che si rinnova anno dopo anno senza fallire un colpo, di ancorare alla strettissima attualità la storia e le tradizioni di Anghiari e della Valtiberina. Riuscendo in questo modo, se non a predire il futuro, quantomeno a mettere in guardia rispetto alle insidie delle strade che stiamo costruendo, dandoci qualche strumento in più per affrontarle con consapevolezza. Il tutto senza scordarsi di strappare frequenti risate, suscitate ora da brillante satira sociale, ora da battute che valorizzano al meglio la più genuina valtiberinità. Merito degli autori Paolo Pennacchini e Andrea Merendelli (quest’ultimo anche regista), che non hanno certo bisogno di presentazioni né di lodi, e merito anche degli attori, non professionisti, che riescono a tracciare una molteplicità di profili irresistibili.
La storia di questa 27esima edizione – la rassegna è nata nell’ormai lontano 1996 e da allora non ha mai saltato un anno, nemmeno il famigerato 2020 del lockdown, quando Tovaglia a quadri si trasformò eccezionalmente in un film – è ambientata in un “Liceo contadino”. O meglio in un castello, Sorci, che il nobile proprietario, il Conte (Michele Guidi), rimasto con un solo contadino, Prince (Dian Foula Touré) vuole ricovertire sfruttando nientemeno che i fondi del Pnrr. L’intuizione è al passo coi tempi: formare una nuova generazione di contadini e contadine visto che quelli “veri” si sono estinti, dopo che avevano superato secoli di guerre, carestie, malattie e costanti umiliazioni – d’effetto il quadro in cui vengono ricordati gli episodi, reali, avvenuti nel territorio, per i quali preziosa è stata la consulenza del professor Giorgio Sacchetti.
Il Conte, squattrinato ma “illuminato”, vuole scrollarsi di dosso la pesante eredità dei suoi avi, generazioni di padroni sfruttatori di contadini, e si trasforma in preside, mettendo insieme un collegio docenti davvero particolare: dal professore di musica popolare (Mario Guiducci), che parla sempre in rima e per questo è detto Ri-Mario; da quello di selvicoltura (Rossano Ghignoni), che cogliendo le potenzialità del ritorno alla legna a fronte della crisi energetica non perde occasione di specularci rialzando il prezzo di quella che lui stesso vende; fino all’insegnante di meccanica agricola (Gino Quieti), formatosi “a 12 anni dal mi’ zio”. E il Conte arriva anche alla riabilitazione del professore di storia, don Contro (Fabrizio Mariotti), prete “comunista” già sospeso a divinis. Con loro, a cercare di mettere in piedi il nuovo Liceo tra un battibecco e l’altro, ci sono la cuoca della mensa (Katia Talozzi), i camerieri (Gabriele Meoni e Giulio Detti), la governante del Conte diventata anche bidella (Maris Zanchi), il maggiordomo tuttofare (Sergio Fiorini).
Quello che manca sono gli studenti: nessuno infatti vuole andare al Liceo contadino, che viene perfino deriso su Instagram. E quando si presentano una donna e una bambina (Federica Botta e Miranda Neri), si scopre che erano a cena alla vicina locanda e vedendo le luci avevano deciso di visitare il castello. La mamma si trasforma nella social manager del Liceo – come la interpreterebbe Franca Valeri; la piccola, viziata e inizialmente inorridita da tutto ciò che vede, si lascia presto coinvolgere e impara come affrontare conigli, galline e perfino l’“ocio”. Ma ecco una visita attesa e temuta: quella dell’ispettore che deve valutare la rispondenza del Liceo ai criteri richiesti dal Pnrr (Pierluigi Domini): o meglio, deve inserire le informazioni che raccoglie e fare poi decidere a un algoritmo, come vuole la sempre maggiore spersonalizzazione delle responsabilità dei nostri tempi.
La vicenda, accompagnata dai timori ecologisti di una “Cassandra di campagna” (Stefania Bolletti), scorre alternandosi alle portate che il sempre numeroso pubblico consuma tra una scena e l’altra, secondo il tradizionale menù di filiera corta fatto di crostini toscani rossi e neri, pecorino con le pere, bringoli al sugo finto, stracotto di Chianina al Chianti, contorno di verdure, torcolo e cantucci, acqua, vino rosso, vinsanto e caffè d’orzo al rum.
Anno dopo anno, e sera dopo sera, Tovaglia a quadri va insomma avanti ben ancorata alla tradizione, anche se, proprio come il lavoro contadino, deve fare i conti con la pioggia che, tanto attesa in questa torrida estate, ha scelto il momento sbagliato per presentarsi, come nel corso della terza replica, quella a cui abbiamo assistito. Ma è stato solo il male di tirare fuori qualche ombrello e poi di spostarsi a consumare dolci e caffè al coperto, avendo così l’occasione di fruire delle belle sale del Castello di Sorci, dall’anno scorso sede della manifestazione.