A Sansepolcro il 12 di ottobre – data in cui ricorre l’anniversario della morte di Piero della Francesca – è stato celebrato con due importanti appuntamenti: come ogni anno la mattina, nella Sala Consiliare di Palazzo delle Laudi, si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Dionisio Roberti, mentre nel pomeriggio, al Museo Civico, è stato presentato un volume di approfondimento sul polittico di San Giovanni in Val d’Afra (Matteo di Giovanni e Piero della Francesca. Studi sulla ricomposizione del Trittico di Val d’Afra, a cura di C. Frosinini, Edifir). Quest’ultima iniziativa ha consentito di analizzare alcuni aspetti cruciali di un’opera che originariamente aveva, come pala centrale, il celebre Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, oggi esposto alla National Gallery di Londra.
Alla presentazione del volume hanno preso parte, oltre al Sindaco Fabrizio Innocenti e all’Assessore alla Cultura Francesca Mercati, la curatrice dello stesso, ovvero la storica dell’arte dell’Opificio delle Pietre Dure Cecilia Frosinini, ma anche la nuova responsabile del patrimonio storico-artistico della Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo – Ilaria Pennati – e, in veste di Presidente della Fondazione Piero della Francesca ma anche di storica dell’arte, Francesca Chieli. Proprio quest’ultima, riassumendo alcuni dei saggi contenuti nella pubblicazione, ha sostanzialmente illustrato come l’opera in questione, nella sua complessità, sia ancora in grado di mostrare, nonostante la parziale scomposizione, le relazioni che intercorrono tra la parte visibile a Sansepolcro che venne dipinta dall’artista borghese Matteo di Giovanni e quella di Piero custodita a Londra.
Per comprendere ciò è, probabilmente, opportuno ricordare che la pala centrale del trittico, quella di maggiore valore in quanto realizzata da Piero, fu venduta dal Capitolo della Cattedrale nel 1859 con l’obiettivo di reperire risorse per eseguire alcuni interventi di ristrutturazione sul duomo cittadino. Due anni dopo il dipinto venne acquisito dalla National Gallery di Londra, ovvero dallo stesso museo che nel periodo che va dal 1861 al 1874 entrerà in possesso di altre due opere di Piero (San Michele Arcangelo e la Natività).
Prima di questo momento il polittico di San Giovanni in Val d’Afra, realizzato per l’omonima chiesa di Sansepolcro tra il 1433 e il 1455, compariva ancora in una sua complessa interezza che era perfettamente in grado di sintetizzare l’eccezionale vitalità artistica e culturale del luogo che lo ha visto nascere: oltre ai due pittori di Sansepolcro, Piero della Francesca e Matteo di Giovanni, all’opera lavorarono, infatti, anche altre due personalità locali: Antonio di Anghiari e Benedetto di Antonio Mattei. Il primo, ricordato tra l’altro per essere stato il maestro di Piero, lavorò alla progettazione dell’impaginato generale dell’opera, mentre il secondo, essendo un carpentiere, realizzò materialmente il supporto ligneo. In questa struttura che appariva ancora legata alla tradizione tardo-gotica di ascendenza senese, lavorò prima Piero della Francesca e poi, in un secondo momento, Matteo di Giovanni, il quale realizzò le pale laterali con i Santi Pietro e Paolo, nonché la predella sottostante con cinque scene della storia del Battista, assieme agli stemmi della famiglia Graziani e della chiesa a cui il trittico era destinato.
Da un eventuale raffronto a distanza che si può fare tra la parte dipinta, prima, da Piero e quella eseguita, dopo, da Matteo di Giovanni, non può ancora oggi non colpire la differenza rilevabile in termini di stile, approcci e restituzione qualitativa. Ciò emerge nitidamente perché i due artisti erano rispettivamente legati a canoni molto differenti: basti pensare allo sfondo della Natività e a quelli oro delle pale laterali, o alla differenza volumetrica e plastica dei personaggi. Tuttavia, come puntualizzato nel corso della presentazione, sulle parti dipinte da Matteo di Giovanni si possono riscontrare elementi che si differenziano sensibilmente dal suo stile precedente: è pertanto probabile che innanzi al tratto definito e luminoso, quasi metafisico di Piero, la pittura di Matteo di Giovanni sia in parte mutata prendendo ispirazione da quella del collega concittadino che già al tempo doveva apparire estremante innovativa.
In termini pittorici, dunque, l’assenza di Piero può essere oggi riletta come l’essenza attraverso la quale ricreare una relazione tra dipinti che, anche quando erano uno accanto agli altri, si sono sempre trovati a convivere con un’ossimorica condizione di vicina lontananza, dalla quale traspariva l’eccezionale ricchezza artistica del territorio valtiberino.