Il racconto dello sfortunato amore di Bistarone per Teresina, finito in un processo che appassionò Monterchi, è una delle composizioni ancora oggi più note del Poeta di Upacchi, al secolo Domenico Dell’Omarino. Nato nel 1850 nel piccolo villaggio delle campagne anghiaresi, fu uno dei pochissimi, se non l’unico, a svolgere a livello professionale il mestiere di cantastorie nella Valtiberina della seconda metà del diciannovesimo secolo.
Di questa figura, diventata “quasi leggendaria seppur veramente esistita”, parla la ricerca dal titolo Il Poeta d’Upacchi, cantore della gran commedia della vita di Mirco Draghi, che prosegue con una nuova pubblicazione – comprendente anche numerose opere originali di Dell’Omarino – il proprio meritorio lavoro teso a non far dimenticare personaggi ed episodi che hanno segnato la storia di questo territorio e di cui il tempo rischia di cancellare la memoria.
Infaticabile camminatore, Dell’Omarino si spostava di paese in paese con il proprio repertorio sempre rinnovato di racconti in ottava rima toscana. In misura minore realizzava anche canzoni, composte su un’unica melodia che divenne un suo marchio di fabbrica. I temi spaziavano dall’epica cavalleresca alla cronaca letta sui giornali o appresa girando di fiera in fiera, rendendo il cantastorie una sorta di “radio itinerante” in un’epoca in cui naturalmente le informazioni circolavano con lentezza.
L’“Upacchin poeta” riferiva dunque al proprio pubblico fatti avvenuti in tutta Italia, ma con particolare frequenza si soffermava su episodi successi nei vari paesi della Valtiberina toscana, della provincia di Arezzo e dell’Altotevere umbro. Tutti gli argomenti erano buoni, “dai femminicidi agli amori difficili, dagli esorcismi a chi aveva troppi amanti, dai suicidi ai furti”, che Dell’Omarino sapeva raccontare “non solo in rima ma anche con ironia o dolore, aggiungendovi quel pizzico di sale e teatralità che le trasformavano in arte”.
Ben presto acquisì grande popolarità, tanto che molte sue opere furono pubblicate in libretti monografici o in antologie, in particolare dalla casa editrice Salani di Firenze, e che veniva invitato in tutta la Toscana a partecipare a “contrasti in ottava rima” con i più importanti cantori dell’epoca. Merito “delle sue capacità poetiche e di improvvisatore, della sua teatralità, della costruzione del personaggio, del saper calamitare la gente”. Contribuiva senz’altro il suo aspetto: era “alto, secco, allampanato”, con il “naso uncinato”, e “portava gli occhiali neri, sia in estate che in inverno. Era sempre serio, dignitoso come un diplomatico di vecchia scuola”, scrive Draghi citando una descrizione del 1934 di Dante Gennaioli.
Attivo fino ai primi del Novecento, Dell’Omarino morì all’ospedale di Arezzo nel 1912. Autodidatta, nelle proprie opere dimostrò “la sua sensibilità d’animo e la voglia di acculturarsi, emanciparsi ed essere libero”, diventando “un vero cultore della poesia, che sapeva spiegare e far comprendere a tutti con sentimento, attraverso una voce imponente e melodiosa”. Un uomo che in tempi difficili “scelse di non avere padroni, di essere un libero viandante, di provare a vivere onestamente con la nobile arte della poesia”.
Domenica 26 marzo presentazione con spettacolo dei fratelli Perla
Il Poeta d’Upacchi, cantore della gran commedia della vita, appena pubblicato dall’Istituto Venanzio Gabriotti, verrà presentato in anteprima domenica 26 marzo alle 16 presso la Biblioteca Carducci di Città di Castello. L’appuntamento, moderato da Alvaro Tacchini, vedrà la partecipazione dell’autore Mirco Draghi e di Enrico Flamini che parlerà dell’ottava rima nell’Alta Valle del Tevere. Ad impreziosire l’evento l’imperdibile esibizione dei fratelli Sergio e Vittorio Perla che eseguiranno alcune composizioni di Domenico Dell’Omarino e altri brani popolari.