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L’acqua di Montedoglio in soccorso del Trasimeno?

Le proposte della politica e i nodi tecnici da sciogliere

La diga di Montedoglio

Nelle ultime settimane il problema del prosciugamento del lago Trasimeno è tornato a scuotere la politica umbra. Dopo aver toccato il suo minimo storico, oggi il livello delle acque del quarto lago più esteso d’Italia si colloca infatti 135 cm al di sotto dello zero idrometrico. La preoccupazione che si lega a questo dato ha pertanto rilanciato l’ipotesi che il lago umbro potrebbe essere salvato con l’acqua accumulata in eccesso dall’invaso di Montedoglio.

A riproporre pubblicamente questa soluzione il mese scorso è stata la consigliera regionale del Partito Democratico Simona Meloni, a cui prontamente hanno risposto sia il vicepresidente della Regione Umbria Roberto Morroni (Forza Italia), sia il consigliere Valerio Mancini (Lega): entrambi gli esponenti di maggioranza hanno ricordato di essere al lavoro da almeno un anno per poter dare seguito a questa soluzione. La possibilità di destinare le acque di sfioro dell’invaso valtiberino per il “recupero del livello idrometrico del Lago Trasimeno” è in effetti prevista nel protocollo d’intesa per la gestione dell’acqua di Montedoglio: questo, sottoscritto nel 2000 e revisionato nel 2008, avrebbe dovuto tradursi in un vero e proprio accordo tra le due regioni entro il 2012. Nel corso degli anni, però, ciò non è mai avvenuto, quindi prima di proporre un progetto del genere bisognerebbe compiere questo passo. Per favorire il raggiungimento di tale obiettivo, ha spiegato Morroni, lo scorso gennaio il commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, Nicola Dell’Acqua, ha convocato un tavolo con gli esponenti istituzionali delle due regioni e con i rappresentanti dell’EAUT (Ente Acque Umbre Toscane), ovvero il gestore tecnico della diga di Montedoglio e di altri impianti dell’Umbria e della Toscana.

Anche a Roma, dunque, si starebbe cercando di favorire l’attuazione di una soluzione che possa salvare il Trasimeno da una preoccupante prospettiva di prosciugamento. Un altro segnale che ha contribuito a rafforzare ulteriormente tale volontà è arrivato dal sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, Claudio Barbaro, che – come riportato dal consigliere Mancini – avrebbe risposto ad un’interrogazione confermando la possibilità di attingere all’invaso valtiberino per soccorrere il lago umbro. In seguito a tutto ciò la Regione Umbria, avvalendosi del supporto dell’Università di Perugia, avrebbe fatto partire una fase di studio tecnico-scientifico per capire definitivamente se quanto prospettato possa o meno avere una concretezza, valutando in prima analisi la compatibilità chimico-fisica della risorsa idrica invasata a Montedoglio con le acque del lago Trasimeno.

Dal punto di vista tecnico e, in particolare, analizzando i dati volumetrici è abbastanza semplice rendersi conto che per innalzare di 1 cm l’altezza dell’acqua di un lago come il Trasimeno, la cui superficie si aggira attorno ai 128 km², occorrerebbero circa 1 milione e 280 mila m³ di risorsa idrica. Per ottenere risultati significativi si dovrebbero quindi impiegare diversi milioni di m³ di acqua la quale, per giunta, potrebbe non sempre essere disponibile, dato che per questo progetti si dovranno esclusivamente utilizzare soltanto i volumi di sfioro dalla diga, quindi quelli che saranno accumulati in eccesso e che quindi non pregiudicheranno gli attuali utilizzi irrigui, idropotabili ed “ecosistemici”.

In altre parole Montedoglio potrebbe avere acqua da riversare sul Trasimeno, ma sulle effettive disponibilità, sia in termini di quantità che di finestre temporali, è difficile fare previsioni, essendo il tutto fortemente condizionato dalle precipitazioni meteorologiche e dagli utilizzi della risorsa idrica (in particolare quelli irrigui risultano fortemente condizionati dalla stagionalità). Inoltre, soffermandosi sulle infrastrutture attraverso le quali l’acqua potrebbe raggiungere il lago umbro, da informazioni tecniche acquisite presso il gestore si evince che la portata esitabile – in maniera prudenziale (secondo le schede tecniche delle apparecchiature) tenendo conto delle dimensioni delle tubazioni di scarico e delle pressioni di esercizio – è di circa 1 m³/sec, vale a dire 86.400 m³ al giorno. Anche in questo caso sarebbero pertanto necessari molti giorni per poter arrivare a risultati significativi. Tra l’altro sempre con la speranza che non si verifichino condizioni di siccità: durante eventuali periodi aridi, cioè in tutti quei momenti in cui il lago umbro potrebbe essere maggiormente in difficoltà, non è infatti detto che l’invaso valtiberino possa materialmente essere in grado di garantire un aiuto.

Affidandosi ai numeri, in condizioni ottimali e senza considerare l’acqua persa a causa dell’evaporazione, per innalzare il livello del Trasimeno di 10 cm (rispetto ai 135 mancanti) occorrerebbero più di cinque mesi. Per rendere realmente efficace questo progetto non è dunque da escludere che potrebbe rendersi necessario un nuovo sistema di condotte. A questo punto, però, potrebbe forse essere sensato valutare anche altre soluzioni, prevedendo ad esempio attingimenti da altri invasi, tipo quello del Chiascio, che in futuro potrebbero, in virtù di minori usi rispetto a Montedoglio, garantire una maggiore disponibilità idrica.

In conclusione, l’idea di utilizzare una parte dell’acqua valtiberina per alimentare il Trasimeno trova ancora molti nodi che, con il tempo, potranno essere sciolti soltanto attraverso studi approfonditi e ponderati, quindi con un impegno che dovrà necessariamente proseguire anche oltre la scadenza delle prossime elezioni regionali.

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