Nei giorni scorsi l’EAUT che gestisce la diga di Montedoglio ha pubblicamente rivelato, per voce del direttore Andrea Canali, di voler seriamente valutare l’idea di creare comunità energetiche correlate alla centrale idroelettrica che sorge immediatamente a valle dell’invaso. Tale impianto, sfruttando una parte del deflusso dell’acqua che ritorna sul Tevere, consente di ottenere una produzione media di circa 3,5 gigawattore: se al momento l’elettricità ricavata dall’acqua viene integralmente immessa nel mercato dell’energia, in futuro una parte di questa potrebbe quindi andare a beneficio di strutture o servizi di pubblica utilità. Per rendere effettiva tale volontà sarà però necessario non solo creare una rete tra l’ente gestore della centrale e le amministrazioni comunali, ma anche attendere l’emanazione dei decreti attuativi attraverso i quali saranno definite concretamente le disposizioni delle attuali norme che regolano il funzionamento delle comunità energetiche rinnovabili.
La possibilità che nei prossimi anni l’energia elettrica prodotta dall’acqua di Montedoglio possa originare benefici per gli abitanti della Valtiberina non può, dunque, non rievocare un ricordo che ormai è parte della storia locale: quello di quando, all’inizio del secolo scorso (perciò assai prima della costruzione della diga), in un’area non troppo distante da dove oggi si trova lo sbarramento, Arnaldo Buitoni fece realizzare una centrale idroelettrica che produceva corrente non soltanto per soddisfare il fabbisogno energetico della fabbrica, ma anche per l’illuminazione pubblica di Sansepolcro.
Nel volume pubblicato dal CRAL in occasione dei 190 anni della fondazione della Buitoni (190 anni di Buitoni. 1827-2017), lo storico Claudio Cherubini illustra dettagliatamente la storia di tale impianto, mettendo in risalto gli aspetti tecnici di un’opera che al tempo appariva alquanto innovativa: nel 1906, dopo quattro anni di intenso lavoro, la centrale idroelettrica entrò in funzione ed iniziò a turbinare una parte dell’acqua del Tevere, del Tignana e del Singerna che, tramite una condotta, provvedeva ad azionarne gli impianti motrici. È dunque in seguito a tale momento che l’elettricità prodotta a Montedoglio sarà utilizzata per il duplice uso sopra ricordato.
Con il passare degli anni la progressiva crescita dei consumi energetici, sommata alle rapide trasformazioni economiche e sociali che si affermarono nel secondo dopoguerra, contribuì a rendere sempre più inadeguato l’impianto, fino a che questo, nel 1977 (quindi in concomitanza dell’inizio dei lavori per la costruzione della diga), fu definitivamente abbandonato. In conseguenza di ciò, quella che un tempo era una centrale idroelettrica d’avanguardia appare oggi come uno stabile fatiscente; un luogo abbandonato in cui è però ancora possibile cogliere il fascino decadente di un’era industriale che ha segnato la storia di Sansepolcro e della Valtiberina.
È forse proprio al cospetto di tutto ciò che l’idea di tornare a sfruttare, sia privatamente che pubblicamente, l’energia pulita dell’acqua di Montedoglio assume un’accezione particolare, recuperando un carico di significato che, almeno da un punto di vista simbolico, sembra riallineare il passato di un intero territorio con una possibile prospettiva di rinascita futura.