Nel precedente articolo sulle antiche dogane tra Granducato e Stato Pontificio sono stati spiegati i motivi per i quali, dalla fine del XVIII secolo fino all’Unità d’Italia, il confine statale che attraversava l’Alta Valle del Tevere divenne una vera e propria frontiera. In conseguenza di ciò i flussi in entrata e in uscita tra i due stati furono sottoposti a maggiori controlli attraverso l’istituzione di dogane, ovvero di appositi edifici presso i quali stazionavano funzionari che dovevano monitorare i traffici di persone e merci così da riscuotere i relativi dazi.
Per ciò che riguarda il Granducato di Toscana, l’esigenza di dotare le aree di confine di tali presidi è leggibile da diversi documenti cartografici (custoditi dall’Archivio di Stato di Firenze) che furono prodotti alla fine degli anni ‘80 del Settecento per raffigurare le nuove dogane che si stavano costruendo in quel periodo lungo tutto il confine statale: di alcune di queste, dunque, si dispone ancora oggi di carte che, oltre alla rappresentazione topografica, riportano anche la planimetria e il disegno degli edifici. Per la Valtiberina ne sono state ritrovate tre, un numero quindi non sufficiente a completare la mappatura delle dogane che in questo lembo di Toscana, dall’Appennino fino al Cerfone, erano almeno cinque (in questa fase saranno escluse quelle più meridionali che – dopo il passaggio del Comune di Monte Santa Maria Tiberina alla provincia di Perugia nel 1927 – sono oggi in territorio umbro). Ogni dogana era posta in corrispondenza di un analogo presidio pontificio situato al di là del confine e rispondeva ad una logica territorialmente gerarchica che si articolava in classi e che vedeva alcuni plessi dipendere da quelli di rango superiore.
Rimanendo in prossimità del fiume Tevere, quindi non considerando il territorio di Sestino e di Bagno di Romagna (che al tempo si trovava all’interno del Granducato di Toscana), la dogana valtiberina più a monte era quella di Montecasale. Posta poche decine di metri al di sopra dell’eremo, questo punto di controllo sorgeva lungo la strada che al tempo consentiva di raggiungere Ancona e l’Adriatico attraverso Borgo Pace: proprio in quest’ultima località era presente la corrispondente dogana dello Stato Pontificio, pertanto coloro che trasportavano merci da una parte all’altra erano tenuti a percorrere questa antica strada che oggi, per buona parte, appare come un semplice sentiero. L’edificio adibito a dogana, realizzato – secondo la testimonianza cartografica riportata di seguito – tra il 1788 e il 1789, dopo l’Unità d’Italia divenne una sorta di trattoria, poi una residenza. Oggi lo stesso appare in ottimo stato di conservazione e consultando la planimetria di circa 235 anni fa si può osservare che esternamente la facciata non ha mutato le proprie caratteristiche architettoniche.
Scendendo verso valle, a sud del centro abitato di Sansepolcro si trovava l’omonima dogana (appunto quella di Sansepolcro). Questa era ubicata lungo la strada che, proseguendo dalla via Maestra oltre Porta Romana, conduceva a Città di Castello. Al tempo non c’era ancora via dei Montefeltro e in questa zona l’edificio doganale era uno dei pochi ad interrompere l’ampia campagna che caratterizzava questa zona. Questo, nonostante i tanti anni trascorsi e vari i cambi d’uso (al momento l’immobile è sede della Guardia di Finanza), mantiene la tipica conformazione geometrica che vedeva la facciata avere tre finestre per piano e con il portone principale al centro. Oltre a ciò, un’altra testimonianza dell’antica dogana rimane nel nome della vicina strada che collega via Anconetana con via dei Montefeltro: via Dogana Vecchia.
Proseguendo verso sud, lungo la linea di confine con l’attuale Regione Umbria, a San Leo si trovava un’altra importante dogana che si poneva in relazione con quella pontificia prima di Pistrino e poi di Fighille. Anche in questo caso è rimasta una piccola strada, indicata anche in una carta del Catasto Generale della Toscana degli anni ‘20 dell’Ottocento, che ancora oggi viene chiamata dalle persone del luogo via Doganale (o della Dogana): dopo la realizzazione dell’incrocio di San Leo e del nuovo tratto viario che collega Anghiari con Fighille, tale via di comunicazione è rimasta assolutamente marginale, quasi al limite del percettibile. Tuttavia, tramite un attento sguardo alla carta topografica odierna, si può notare come alcuni edifici mantengano ancora oggi un allineamento con quella che una volta era l’unica strada percorribile per attraversare il confine statale. Proprio lungo questa, non a caso, era ubicata la dogana di San Leo: anche in questo caso, nonostante le modifiche architettoniche, l’antico edificio doganale è riconoscibile grazie alla regolarità delle tre finestre per piano.
Spostandosi più a sud, verso il territorio di Monterchi, si trovavano altre due dogane: quella, appunto, di Monterchi e quella di Pantaneto. La prima era ubicata in prossimità del centro abitato, poco distante del ponte sul Cerfone, mentre la seconda lungo l’attuale Strada Provinciale che si dirama dalla Senese Aretina tra la Sovara e le Ville di Monterchi. Oggi, come mostrano i raffronti tra i documenti planimetrici dell’epoca e le foto attuali, entrambi gli edifici mantengono le forme architettoniche originarie, anche se nel caso di Pantaneto l’immobile ha perso parte della sua regolarità a causa di un ampliamento che ha interessato il lato destro. A Monterchi, invece, lo stabile mantiene esternamente una completa fedeltà con il progetto originale, il cui fascino appare peraltro amplificato dal suggestivo impatto visivo conferito dalla pietra.
In definitiva lungo l’attuale confine regionale tra Toscana e Umbria sono ancora oggi visibili le testimonianze storiche di un territorio di frontiera come era un tempo dell’Alta Valle del Tevere. Oggi le stesse potrebbero, probabilmente, essere maggiormente valorizzate – o anche semplicemente menzionate – magari sfruttando il percorso dei cammini di Francesco che, quasi per ironia della sorte, nel suo tratto valtiberino passa accanto sia all’antica dogana granducale di Montecasale, sia a quella pontificia di Fighille; in mezzo a questi due nodi i sentieri percorsi dai pellegrini si trovano di fatto ad attraversare, quasi per intero, la fascia di territorio che era sottoposta ai controlli imposti da Firenze e da Roma.